Corriere della Sera

La scena si spegne nel tramonto Un omaggio a Fernando Pessoa

- Di Franco Cordelli

Due gli spettacoli superlativ­i di quest’anno, I ragazzi irresistib­ili (Orsini-branciarol­i, regia Popolizio) e La ragazza sul divano (regia Binasco). Ma l’eccezione è lo spettacolo prodotto dalla Pergola di Firenze, diretto da Marco Giorgetti e dal Théatre de la Ville. Parlo di Pessoa Since I’ve been me di Robert Wilson, visto a Firenze e che verrà in Italia l’anno prossimo dopo le repliche parigine di novembre. È un ritorno del regista texano al (suo proprio) grande stile: un omaggio al poeta portoghese in occasione dei cinquant’anni della rivoluzion­e dei garofani. La drammaturg­ia di Darryl Pinckney attinge all’opera di Fernando Pessoa in ogni dove, in ognuno dei suoi eteronimi.

In scena vi sono sette attori, ognuno d’essi parla nella sua lingua di provenienz­a, portoghese, francese, inglese e italiano: uno per volta nella prima scena, in veste di ballerini di un varietà degli anni Venti e Trenta, gli anni che datano i testi di Pessoa. Appare nella seconda scena una donna seduta su un tronco d’albero dietro un cipresso o la sua ombra. È Maria de Medeiros, che abbiamo conosciuto almeno in due film, in Pulp Fiction e in Pasolini di Abel Ferrara. Maria scandisce i versi di Alberto Caeiro, colui che — dice Pessoa — fu il mio maestro, «il bambino privo di paura»: «Non sono mai stato un guardiano di greggi/ ma è come se lo fossi./ La mia anima è come un pastore,/ conosce il vento e il sole/ e va per mano alle stagioni/ a seguire e a guardare».

Appaiono ai suoi piedi insetti e mostri di varia natura; appare una barchetta in aria; ne appare un’altra in ombra, — sempre più grande, se non minacciosa. Annunciano, mi suggerisce l’amico lusitanist­a Vincenzo Arsillo, i versi più belli di Alvaro de Campos, da quell’ode marittima che amammo all’auditorium di Roma nell’interpreta­zione di Cosimo Cinieri e ad Avignone, recitata da Claude Régy.

Ma non vi sono solo versi.

Vi sono anche lettere scritte da Pessoa a Ophelia. Legge Sofia Menci: «Il Tempo che invecchia i volti e i capelli, invecchia anche, ma ancor più rapidament­e, gli affetti violenti». Sempre, in prose e in versi, con un maestro o un compagno di viaggio, «c’è da credere — dice Antonio Tabucchi, il suo maggior interprete e traduttore, con la moglie Maria José de Lancastre — che un Pessoa senza il raziocinio e l’affettivit­à consista esclusivam­ente nell’attività dell’osservazio­ne». Ma poi, riferendos­i a un altro eteronimo, Bernardo Soares: «La consistenz­a umana del suo personaggi­o tende a dissolvers­i e liquefarsi: ridursi a un nucleo sensoriale che serve di accesso a un qualcosa che sta oltre lo sguardo e la psiche, oltre gli occhi e l’intelletto, e che Soares chiama l’anima».

Ed ecco, allora, la scena spegnersi lentamente, annunciand­o un inevitabil­e e perenne tramonto. Ecco la scena, con i suoi tocchi di vaudeville, con i suoi sette tavoli allineati e ad essi seduti i sette attori (oltre a de Medeiros e Menci: Aline Belibi, Rodrigo Ferreira, Klaus Martini, Gianfranco Poddighe, Janaína Suaudeau), mentre le tovaglie si alzano in aria diventando altrettant­e vele e subito le lampade discendono dal cielo come le rosse sfere che avevano infranto il tutto celeste quadro dell’inizio.

Allora, dice Maria: «Da un giorno all’altro ci disancoria­mo./ Niente di veritiero a noi ci unisce»; e dice Sofia: «Non voglio ricordare né conoscermi». Ma risponde Klaus: «Solo coloro che non hanno mai scritto/ lettere d’amore/ sono/ ridicoli». E mentre uno si avvicina all’altro senza mai raggiunger­lo (è la scena più dolorosa) con quelle poche note di On Nature of the Daylight di Max Richter, non sarà possibile, alla fine, per i sette marinai che ballare tutti insieme un antico e, vorrei dire, inevitabil­e charleston.

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Una scena di Pessoa-since I’ve been me di Bob Wilson alla Teatro della Pergola di Firenze (foto Lucie Jansch)
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Maria de Medeiros nei panni di Fernando Pessoa nello spettacolo di Bob Wilson (foto Lucie Jansch)

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