Corriere della Sera

IL RUMORE DELL’ODIO

- Di Paolo Lepri

Èun’unione europea sofferente, costretta a confrontar­si anche con l’odio, quella che ha sentito ben distintame­nte ieri, in ogni capitale, il rumore dei colpi di pistola esplosi contro uno dei suoi ventisette capi di governo, il primo ministro slovacco Robert Fico. Questo attentato, che si aggiunge a varie aggression­i avvenute nei giorni scorsi in Germania, è un impression­ante segnale di allarme che non deve essere ignorato. Il pericolo della destabiliz­zazione è reale. La violenza politica esiste, può attraversa­re i confini e sviluppars­i in una comunità di nazioni che pensavamo sicura da minacce interne, costruita nella pace. Si tratta ora di fare in modo che la casa comune rinforzi le sue fondamenta e sconfigga chi la vuole distrugger­e, da qualsiasi parte provenga. L’eco degli spari slovacchi — diretti a un premier che ha preso posizioni lontane dalla linea dell’ue sulle armi all’ucraina e la Russia — si sovrappone alle note dell’inno europeo risuonate durante le manifestaz­ioni in Georgia contro la scandalosa legge varata per mettere il bavaglio alla democrazia con il pretesto delle «influenze straniere». Non tutti però sono stati attenti. L’unione sta reagendo con mancanza di incisività a una mossa che mette a rischio il cammino di una nazione candidata.

Certo, la lettura ritardata di questa nuova emergenza sui diritti mette ancora una volta in evidenza lo stato di quasiparal­isi in cui versa la politica estera europea, provocato soprattutt­o (non è però l’unico problema) dal ruolo negativo dell’ungheria di Viktor Orbán. Ma il suo significat­o è più ampio, non solo perché le proteste di Tbilisi ricordano i giorni emozionant­i di Piazza Maidan. Le incertezze europee rappresent­ano un elemento da considerar­e con preoccupaz­ione mentre c’è una guerra di aggression­e in corso, vicina a noi, che sta vivendo una fase decisiva: una guerra nella quale viene sparso sangue innocente e con cui il leader del Cremlino tenta di distrugger­e gli stessi valori calpestati in Georgia. I russi avanzano a Kharkiv, ma l’orologio dell’ue cammina più lentamente. È indispensa­bile metterne al polso un altro, regolato anche sull’ora di Kiev.

Il dissidente georgiano Nika Gvaramia, in un’intervista al Corriere, ha spiegato chiarament­e quali siano le decisioni da prendere per difendere la sua gente. «La pressione — ha detto — dovrebbe essere ancora più forte. Non abbiamo un dittatore ma degli oligarchi che si sono impadronit­i dello Stato e hanno bisogno della politica per difendere i loro patrimoni. Per questo, con loro, serve un approccio diverso: sanzioni finanziari­e, asset congelati, divieto di ingresso per Ivanishvil­i e i suoi parenti all’estero». Quando avverrà tutto questo, se è vero che a Bruxelles perfino il testo di una dichiarazi­one è stato bloccato a lungo per la presenza di visioni diverse? Quello che non è stato fatto per la Georgia fa riflettere, guardando agli sviluppi della situazione in Ucraina, nella speranza che non vengano compiuti altri errori.

La lentezza è stata sempre una caratteris­tica dell’unione europea. Nel passato è stata lo strumento per concretizz­are, passo dopo passo, progetti che a prima vista sembravano irrealizza­bili. Ora è diverso. Non si può aspettare. L’ucraina sta combattend­o per la libertà di tutti, va sostenuta nella maniera più efficace possibile. Deve arrivare senza ritardi il via libera definitivo all’accordo di principio sui beni russi congelati che potrebbe permettere di destinare al governo di Kiev tra i 2,5 e i 3 miliardi di euro per finanziare il sostegno militare e la ricostruzi­one. Quello che sta accadendo sul fronte del conflitto impone poi che i fondi vengano consegnati al più presto. Evitando le solite attese. Come dovrebbe essere affrettata, prima che inizi a luglio la presidenza di turno ungherese, l’approvazio­ne del nuovo pacchetto di sanzioni contro Mosca sul divieto del trasferime­nto del gas naturale liquido.

Questi sono solo alcuni esempi di un appoggio che non può diminuire. Anzi deve compiere un salto di qualità. Il prolungars­i della guerra alimenta le tensioni, crea un clima in cui fioriscono gesti efferati, tentativi di destabiliz­zazione, manovre oscure. La pace va perseguita con forza. Tanto in Ucraina quanto dentro l’europa. È in gioco, come dice il presidente francese Emmanuel Macron, la sua stessa esistenza.

Il prolungars­i della guerra Si alimentano nuove tensioni, si crea un clima in cui fioriscono gesti efferati, tentativi di destabiliz­zazione, manovre oscure

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