Corriere della Sera

«La vita in trincea di mio padre, medaglia d’argento»

- Vittorio Emiliani

Mio padre Nicola che era del 1896 e a vent’anni era già diplomato alle Magistrali di Forlimpopo­li dove studiò Mussolini, aveva un padre socialista che nel 1915 non lo fece partire volontario coi repubblica­ni Macrelli e Spallicci. Era alto 1,75 e fu presto richiamato e arruolato in Cavalleria e fu a vita un Dragone del Genova Cavalleria. Ma i lunghi mesi di duro lavoro in Cavalleria servirono a poco. La Cavalleria avrebbe ormai avuto poco ruolo. Combattero­no un’ultima battaglia a Pozzolo del Friuli, la vinsero. Ma li fecero smontare dai loro amati cavalli e scegliere altre armi. Nicola Emiliani si fece il Grappa con una mitragliat­rice che surriscald­andosi si inceppava spesso. Si guadagnò una medaglia d’argento il tenente Emiliani conducendo i suoi alla conquista di Quota 144 con tanti caduti. Ma dall’alto si vedeva già il Grappa. Con Armando Diaz l’esercito si era ricompatta­to. Ho un diario giornalier­o di guerra di mio padre interessan­te. Non è Hemingway però è interessan­te come il racconto che mi faceva della terribile guerra di trincea con le provviste che scarseggia­vano e i topi che passavano loro sul viso mentre cercavano di dormire o come gli assalti alla baionetta fuori dalle trincee dopo aver bevuto il cognac dalla bottiglia. Nel 1916 era tornato in Romagna dove la madre stava morendo (in realtà era già morta) ed era rimasto colpito dalla ostilità quasi dei compaesani verso la divisa per i tanti morti e feriti e per il razionamen­to e il caro-prezzi dei generi primari. Tornarono a casa con lentissime tradotte e quanti erano sulla strada di casa dai laghi laziali a Roma saltavano giù zaino in spalla e tanti saluti.

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