Il ritorno degli anni 70: così è se vi pare
Riedizioni e rievocazioni di un decennio provocatorio e giocoso. Ma con la tecnologia e la sensibilità di oggi
La libertà di riappropriarsi del proprio spazio del vivere, di sentirsi liberi nei gesti, di voler stare in un luogo coinvolgente. Contraltare, la ricerca del nuovo attraverso l’esplorazione rigorosa di materiali e metodi di lavorazione diversi, mai usati prima. I colori fluo ma anche i toni delle terre. Il vetro contrapposto al plexiglas. Morbidezze e supercomponibilità. È il design negli anni ’70, una sorta di «terra di mezzo», lontana dallo slancio positivo del decennio precedente e non ancora pronta a quell’anticonformismo esuberante e sicuro di sé che avrebbe connotato quello successivo. Un periodo di contraddizioni, che oggi torna alla ribalta con decisione in molti arredi visti alla Design Week 2024 come nelle atmosfere suggerite dai colori e da tanti allestimenti. Eppure, il clima socioculturale attuale è molto diverso da quello che si respirava 50 anni fa. E anche le nostre case. Oppure no?
«Allora l’italia si ritrovava più moderna e avanzata grazie alle affermazioni civili dei referendum sul divorzio e l’aborto, ma contemporaneamente faceva i conti con l’austerity per la crisi petrolifera. In parallelo la casa si destrutturava affrancandosi dall’idea di focolare domestico», premette il sociologo Francesco Morace in un’analisi di quel periodo che, in fondo, presenta varie analogie con il presente: «Prima la positività del post pandemia, a cui però sono seguite le guerre ancora in corso. Una condizione che sembra stabilizzata, e ci fa sentire sospesi. Abbiamo perso i punti di riferimento: io la definisco “modernità gassosa”: non più quella liquidità che concreta lo è, ma qualcosa di impalpabile». Uno stato che però non è negativo, sebbene il rischio di ripiegamento su se stessi esista e in tale chiave potrebbero apparire le riedizioni di pezzi anni ’70 presenti numerosi tra Salone e fuori. Invece, se si analizzano, si scopre per esempio che Cornaro, la serie di sedute progettate da Carlo Scarpa nel 1973 e rimesse in produzione ora da Cassina, non solo è stata rivista nelle proporzioni per adattarla al nostro comfort (in accordo con lo stesso Tobia Scarpa) ma ora prevede imbottiture sostenibili e da riciclo. In linea con l’attitudine sperimentale di allora, ma resa possibile dalle capacità tecnologiche (e dalla sensibilità) del nostro tempo.
Anche Poltronova, depositaria di molte icone anni ’70, sta procedendo a reintrodurre
L’avanzata sui diritti civili ebbe effetto anche sulle abitazioni
Rilancio Joe, ha la carica emotiva e l’idea di libertà
nei pezzi del periodo piccole varianti. «Pensare che allora nessun arredo ebbe successo. I Mobili Grigi, esposti nello stand di Poltronova al Salone, furono un flop commerciale e criticatissimi dalla stampa. Il successo arrivò molto dopo e solo per lo specchio Ultrafragola», ricorda Roberta Meloni, proprietaria di Poltronova. L’ultimo rilancio oggi è la poltrona Joe, 50 anni festeggiati con nuovi rivestimenti, dal jeans alla pelle bronzea: «Non è un arredo ma un personaggio. Non tanto per sedersi, ma per dare il carattere alla stanza», così la definisce. «Questi oggetti avevano una carica emotiva e sensoriale, stimolavano il gioco. E l’idea di libertà. Al di là della funzione».
Le stesse sensazioni che oggi si vorrebbero ritrovare, assieme allo slancio sperimentale. «Oggi, con il concetto della instagrammabilità degli oggetti, i produttori tendono a essere conservativi. Negli anni ’70 invece ciascun designer esplorava, trovando la propria chiave di lettura. Con uno spirito utopico, indispensabile per proiettarsi in avanti senza paura», argomenta il designer Hannes Speer, cultore dichiarato di quel periodo, che quest’anno con Minotti ha creato un’ampia serie di pezzi ciascula
no connotato da un’innovazione. Per esempio, per il tavolo Nico, dall’estetica evocativa dei pezzi di Angelo Mangiarotti, l’incastro e l’equilibrio, apparentemente impossibile, delle due basi. Perché sperimentare è il filo conduttore (ritrovato).
«Abbiamo ripreso la lucite, molto usata negli anni ‘70, stratificata e tagliata con determinati angoli in modo da riflettere la luce. Con l’aggiunta di colori e sfumature lattiginose che rendono i pezzi sempre diversi», raccontano la coppia di designer-artisti Draga & Aurel dei tavoli Glaze delserie Tinted Hues (per Nilufar). E di sperimentazione si può parlare anche per il concetto di componibilità portato all’infinito, che sia una seduta a moduli, semplice da combinare e da smaltire (come Array, design Snohetta) o un sognante sistema di elementi in vetro luminosi e non (Bruma, di Giopato & Coombes), che combina l’artigianalità sperimentale alla tecnologia.
Resta il punto fermo dell’emozione, e i designer di ultima generazione ne sanno qualcosa: onore al merito a Gufram che, nel perseguire la sua attitudine di rottura, punta sulla giovane coppia Soft Baroque per il tavolino organico Pietre (ma reminiscenza di pezzi naturalistici come il Massolo, 1974), dal mood giocoso e accattivante, e a un marchio storico come Poltrona Frau capace di scommettere sul design soffice di Faye Toogood per una collezione dal nome programmatico Squash, che potrebbe diventare icona di quel carattere affettuoso e libero , ma soprattutto coraggioso, di questo revival degli anni d’oro Seventies. Affidato, come fu allora per Cini Boeri, Maria Pergay, Gabriella Crespi, a una donna forte del design.
Instagram porta i produttori a rischiare di meno
Abbiamo ripreso la lucite, molto in voga allora
Il fenomeno
Un periodo con molte contraddizioni che è tornato alla ribalta all’ultima Design Week
Il sociologo
«Nel post pandemia, con due guerre in corso viviamo anche ora una modernità “gassosa”»