L’asse con Washington (e le chiamate in Florida) Così si è mossa la premier
Gli Usa avevano chiesto riservatezza. Lei ha scelto di essere presente
Ore 22.34, due sere fa. La telefonata arriva a Palazzo Chigi quando il Falcon 200 dell’aviazione italiana è già decollato. Chico Forti ha lasciato il suolo americano, guarda la Florida dall’alto per la prima volta dopo 24 anni. Almeno una decina di persone sono in chat, chi ha la responsabilità di riportare in Italia il detenuto italiano fa i complimenti a tutti coloro che nelle ultime settimane, nelle varie articolazioni del governo, hanno partecipato a una sorta di tour de force, amministrativo, diplomatico, giuridico e ovviamente anche politico.
È difficile anche per una parte delle opposizioni non riconoscere il successo del governo. Di Chico Forti, che si è sempre dichiarato vittima di un errore giudiziario, negli ultimi anni si sono occupati diversi esecutivi, di diversi colori, diversi Guardasigilli, diversi ministri degli Esteri (Luigi Di Maio si spese in modo personale, come pure Marta Cartabia). Attraverso un lavoro quasi sempre sottotraccia, che in più occasioni ha rotto i protocolli internazionali per far valere i rapporti personali, a Giorgia Meloni è riuscito quello che ad altri era stato negato. Ed è accaduto per l’eccellente rapporto personale con Biden e con la sua amministrazione, per il flusso costante di lavoro congiunto che fra i nostri apparati è strutturato nell’asse Roma-washington ormai da quasi due anni a livelli senza precedenti, ma anche perché si è investita sulla pratica una mole di lavoro e relazioni che nessun altro governo aveva messo in campo.
Ci sono state due visite di Meloni alla Casa Bianca, due in un anno, con gli staff il dossier è in cima alla lista in entrambe le occasioni. Il capo del governo fa capire che per lei il caso è personale, ne ha fatto oggetto di promessa elettorale, auspica e ottiene che venga trattato di conseguenza. Lei stessa scompagina il cerimoniale: riceve Elon Musk a Palazzo Chigi, gli chiede un contatto con il governatore della Florida, Ron Desantis, che ha l’ultima parola sull’estradizione: non tocca a un premier chiamare un governatore americano, lei non si fa scrupolo di alzare la cornetta più volte. Tocca a Desantis firmare il trasferimento verso un carcere federale, dal quale sarà poi possibile l’estradizione.
Le tessere del puzzle si incastrano anche grazie al lavoro costante e silenzioso della nostra rappresentanza a Washington, l’ambasciatrice Mariangela Zappia viene pubblicamente ringraziata da Meloni quando a marzo il caso si sblocca, mentre Meloni è a Toronto. Nelle ultime ore la richiesta degli Stati Uniti è invece esplicita: «Si deve mantenere la massima riservatezza». Meloni accetta ma non rinuncia ad andare a Pratica di Mare e questo le vale gli attacchi social per una presidente del Consiglio che va a ricevere un condannato all’ergastolo per omicidio. Critiche che però non scalfiscono il clima di soddisfazione che si respira a Chigi.
Negli ultimi due mesi, da quando la Corte di Appello di Trento riconosce la sentenza di condanna all’ergastolo americana, nel palazzo del governo viene allestita una sorta di task force cui partecipano vari organi dello Stato. La coordina Alfredo Mantovano, che da magistrato si è occupato anche di estradizioni. Il gruppo interministeriale lavora senza sosta per fluidificare ogni pratica con le controparti americane. È un lavoro che riesce a tempi da record. E si conclude due sere fa, anche con un pizzico di scaramanzia, con una telefonata poco dopo le quattro del pomeriggio, ora americana.