Bibi «assediato» dai generali dentro il gabinetto di guerra E il Paese sta con l’esercito
La rabbia degli oltranzisti Ben-gvir e Smotrich contro i militari
GERUSALEMME I generali. Anzi: «Voi generali», come li ha apostrofati Itamar Ben-gvir. «E i vostri preconcetti». Stava litigando pochi giorni fa con Gadi Eisenkot, l’ex capo di stato maggiore entrato nel governo d’emergenza assieme a Benny Gantz, e ha lasciato fuoriuscire tutto il disprezzo per l’istituzione che l’86,5 per cento degli altri israeliani considera ancora la più affidabile: l’esercito. Nonostante gli errori di strategia, le miopie dell’intelligence, i buchi nella catena di comando che hanno portato al disastro del 7 ottobre e riconosciuti dagli stessi ufficiali.
Ben-gvir ha usato la parola conceptzia per accusare Eisenkot e le forze armate in cui ha servito per 41 dei suoi 63 anni. È il termine identificato con un altro fallimento nella lettura delle mosse nemiche: la guerra di Yom Kippur del 1973. Per il ministro della Pubblica sicurezza e gli altri coloni il «concetto» comprende anche una serie di decisioni prese da militari di carriera diventati primi ministri. Scelte a cui anche Benjamin Netanyahu si è opposto e si oppone: a partire dagli accordi di Oslo con la prospettiva della nascita di uno Stato palestinese. Così il primo ministro e gli ultrà che ha portato al governo si sentono assediati dai «generali»: tre siedono nel consiglio di guerra, due sono suoi avversari, uno — Yoav Gallant — è stato licenziato a parole lo scorso marzo. È ancora lì.
Come si sentivano assediati da Yizthak Rabin: aveva guidato le truppe da capo di stato maggiore durante la guerra dei Sei Giorni ma da falco si era trasformato nel politico che aveva firmato l’intesa con i palestinesi, avversata da Bibi e combattuta da Ben-gvir. La prima volta che gli israeliani sono stati costretti a notare Itamar è stato nell’autunno del 1995, quando aveva 19 anni e si era presentato in televisione brandendo il logo di metallo della Cadillac governativa: «Abbiamo beccato la sua auto e presto beccheremo Rabin». Poche settimane dopo Yigal Amir, ultranazionalista messianico come lui, beccò Rabin con due proiettili prima ancora che su quell’auto potesse salire, un attentato che uccise anche il processo di pace voluto dal leader laburista.
O da Ehud Barak, il soldato più decorato della Storia di Israele, che Ben-gvir ha querelato chiedendo 100 mila shekel (25 mila euro) di risarcimento perché l’ha chiamato «terrorista». La destra estremista non gli ha mai perdonato il tentativo di rilanciare il dialogo con Yasser Arafat nel 2000 e lo accusa di aver alimentato la seconda intifada. Fino ad Ariel Sharon: gli arabi lo ritengono colpevole per i massacri commessi dai falangisti libanesi nel campo rifugiati palestinese di Sabra e Shatila a Beirut e una commissione israeliana «indirettamente» responsabile, fino a spingerlo alle dimissioni da ministro della Difesa. Per i coloni è solo l’uomo che aveva ordinato l’evacuazione e il ritiro da Gaza nel 2005, odiato al punto che alcuni rabbini del sionismo religioso avevano pronunciato una maledizione cabalistica contro di lui. Era stato l’esercito a sgomberare gli insediamenti dai 363 chilometri quadrati che Bezalel Smotrich, altro ministro e capo oltranzista, ribadisce di voler tornare a occupare.
Tutti e due — Ben-gvir perché condannato per sostegno a un’organizzazione terroristica ebraica — hanno evitato il servizio militare, obbligatorio per la maggior parte degli israeliani, tutti e due chiedono di sedere nel gabinetto ristretto che guida il conflitto.
Gli avversari
Tre siedono nel consiglio: oltre a Gantz, Gallant (che era stato cacciato) e Eisenkot