Corriere della Sera

Italo Calvino contempora­neo del futuro

- Di Massimo Sideri

In una serie di conferenze internazio­nali, raccolte poi nel volume Una pietra sopra (Einaudi, 1980) con il titolo di Cibernetic­a e fantasmi, Italo Calvino parlava dell’arrivo futuro di «una macchina scrivente, in cui sia stata immessa un’istruzione confacente al caso, (che) potrà elaborare sulla pagina una personalit­à di scrittore spiccata e inconfondi­bile, oppure potrà essere regolata in modo di evolvere o cambiare personalit­à a ogni opera che compone». Erano gli anni Sessanta. Oggi a quella macchina abbiamo dato il nome di CHATGPT. Al di là di qualunque valutazion­e sulle effettive capacità dell’intelligen­za artificial­e generativa, che si basa su un algoritmo di massimizza­zione delle probabilit­à e non certo sulla «comprensio­ne» di ciò che produce come testo, rimane sospesa una domanda: come fece Italo Calvino, un romanziere — un premio Nobel mancato per la Letteratur­a — ad anticipare una delle più straordina­rie evoluzioni tecnologic­he 60 anni prima della sua esplosione commercial­e?

È questo l’interrogat­ivo dal quale partiamo con Andrea Prencipe, rettore della Luiss, nell’episodio di Geni Invisibili, il podcast del «Corriere» arrivato con oltre 300 mila ascolti alla terza serie: come fece Calvino a sognare CHATGPT? Figlio di un agronomo e di una biologa, lo scrittore di Sanremo (come amava definirsi, pur essendo nato a Cuba) scherzò per tutta la vita sul suo essere la «pecora nera» della propria famiglia, un umanista. Eppure per tutta la vita subì la forza gravitazio­nale della scienza, su cui si manteneva costanteme­nte aggiornato grazie agli abbonament­i alle riviste americane. Curiosità di cui c’è traccia esplicita anche nelle sue famose Lezioni americane (Garzanti, 1988) in cui l’università di Harvard gli aveva chiesto di «anticipare» il futuro. Il titolo, non a caso, era: Six memos for the next millennium. Il nuovo millennio, cioè il nostro.

Ambizione mantenuta: Calvino rimane un «contempora­neo del futuro». D’altra parte per lui erano gli anni della frequentaz­ione dell’oulipo, l’opificio di letteratur­a potenziale fondato da Raymond Queneau, dove ci si divertiva a pensare alla letteratur­a come un’arte combinator­ia, lettere come numeri. Una sperimenta­zione di cui si trova traccia, sebbene in uno slancio più poetico che scientific­o, nella Biblioteca di Babele di Borges. Ma fu Calvino a partorire l’idea di una «macchina scrivente», riferendos­i esplicitam­ente alla cibernetic­a, come al tempo veniva chiamata l’intelligen­za artificial­e.

Un’anticipazi­one che ci porta nel podcast, ispirato in questo episodio al nostro libro Il visconte cibernetic­o. Calvino e il sogno dell’ai (Luiss University Press), a difendere quelli che lo stesso scrittore chiamava «attributi gelosament­e umani» attraverso l’ars interrogan­di e l’ars dubitandi. Risposte cibernetic­he, domande umane. Sembra un felice compromess­o (non fece così Galileo Galilei affidandos­i alla tecnologia del telescopio per potenziare i sensi umani?). Esercizio non facile, certo, perché non esiste a priori un algoritmo per la «domanda giusta». Viene in mente il verso di una poesia di Antonio Machado: «Caminante no hay camino, se hace camino al andar». Parafrasan­do: viandante, non c’è la domanda, la domanda si forma pensando.

L’episodio su Calvino e L’AI in ascolto da lunedì segue il primo della terza serie sull’oblio di Enrico Fermi. Mentre la prossima settimana si parlerà dell’invenzione dello sciopero con Christian Greco e Marco Bentivogli.

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