Corriere della Sera

L’uomo nato per giocare con la scultura

- Di Beba Marsano

Ha avuto ragione Marcel Duchamp. Il profeta del Dada vide nelle opere dell’amico Alexander Calder (1898-1976) qualcosa di così inedito e dirompente, da non trovare nessun nome per definirle. E ne inventò uno: mobiles. Nome perfetto per quelle forme in movimento amate anche da Jean Paul Sartre, con cui l’artista statuniten­se sconfessò la statica della scultura.

Talento precoce — a quattro anni realizzò la prima figurina in argilla—, una laurea in ingegneria meccanica, e naturalmen­te una propension­e naturale allo stupore, Calder arrivò all’arte cinetica attraverso il gioco: la creazione di balocchi e il circo, passione nata da bambino, quando la madre lo portò alla Rose Parade di Pasadena.

Con filo di ferro, spago, gomma, stracci e altri materiali di recupero realizzò il Circo Calder (oggi al Whitney Museum of American Art di New York), plastico in miniatura oggetto di spettacoli improvvisa­ti e itineranti, grazie ai quali il giovane artista staccava biglietti con cui riusciva a pagarsi l’affitto. A questo microcosmo, che alla fine arrivò a occupare ben cinque valigie, il documentar­ista francese Jean Painlevé ha dedicato un intero film: Calder’s 1927 Great Circus, che sarà proiettato al BAM Circus in versione integrale il 25 maggio alle ore 19.

Un evento nato dalla collaboraz­ione con il MASI Lugano, che nella sede del LAC ospita fino al 6 ottobre l’antologica dal titolo «Calder Sculpting Time». Una sorta di trasognato luna park, costituito da più di trenta lavori realizzati tra il 1930 e il 1960, gli anni più prolifici e creativame­nte felici. Ai mobiles, dove elementi sospesi e astratti si bilanciano a mezz’aria in armonie mutevoli, si affiancano sphériques (le prime astrazioni), constellat­ions (che in legno e filo metallico alludono alla struttura del cosmo) e stabiles, come Hans Arp battezzò le costruzion­i metalliche statiche, divenute monumental­i tra gli anni Sessanta e Settanta.

Una, Teodelapio, 18 metri di altezza, si trova davanti alla stazione di Spoleto, dono alla città dello stesso Calder in occasione del Festival dei Due Mondi edizione 1962.

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