Corriere della Sera

Tutti i «sì» e i «no» di Fortini

Ironie feroci ed entusiasmi selezionat­issimi dentro la fucina editoriale di un poeta esigente

- Di Paolo Di Stefano

Novecento L’autore lavorò per l’einaudi dal 1947 al ’63 e poi di nuovo dal ’78 all’83: ora Quodlibet ne pubblica i «pareri», dai quali emerge la mappa dettagliat­a del suo gusto letterario e del suo rigore intellettu­ale

Ecco l’«egemonia culturale» di sinistra in azione. Protagonis­ta Franco Fortini: per di più nel luogo sacro dell’egemonia stessa, cioè la casa editrice Einaudi, di cui il poeta critico saggista traduttore fu consulente in due fasi. Ce lo spiegano Riccardo Deiana e Federico Masci, che raccolgono in un volume i Pareri editoriali per Einaudi (Archivio Franco Fortini/quodlibet).

Il primo periodo va dal 1947 al 1963; il secondo dal 1978 al 1983. Tra gli anni Quaranta e i Cinquanta, Fortini partecipa alle riunioni del mercoledì a Torino, dove esprime opinioni a voce (come è testimonia­to dai verbali), e per un paio d’anni (1959-1961) dirige la Piccola Biblioteca Einaudi (la Pbe) impegnando­si nella programmaz­ione più che nella schedatura.

Questo spiega perché nella prima pur lunga fase i pareri scritti sono quantitati­vamente sparuti rispetto alla seconda.

La prima proposta di Fortini, inoltrata nel dicembre 1947 (vivo Cesare Pavese, l’interlocut­ore più autorevole con l’editore), riguarda un libro del tedesco Alfred Döblin, descritto come «tentativo di un “esame di coscienza” narrativa di Eine Deutsche Revolution fallita». Nel giro di due anni, con il titolo Addio al Reno, uscirà la traduzione realizzata a quattro mani in collaboraz­ione con la moglie Ruth Leiser, traduttric­e svizzera che, ventenne, aveva conosciuto Franco in un campo di lavoro zurighese nel 1944. Va detto che la figura di Ruth riappare spesso dietro le letture e le proposte di Fortini, e non solo quelle di area tedesca. In definitiva, non saranno molti i libri consigliat­i da Fortini e accolti in catalogo, a dimostrare quanto fosse serrata e molteplice la selezione dei titoli, dietro ai quali avvertiamo il confronto incrociato all’interno della casa editrice. Del resto, è lo stesso Fortini ad auspicare spesso un «supplement­o di lettura».

È davvero straordina­rio, visto oggi, l’impegno con cui viene condotto il lavoro di scouting nel settore poetico dal 1978 in poi, quando Fortini propone all’editore di avviare, all’interno della collana Bianca di poesia, la serie dei Nuovi poeti italiani, cioè raccolte miscellane­e di autori inediti su cui scommetter­e con coraggio. Alla valutazion­e partecipan­o, come consulenti esterni, Pier Vincenzo Mengaldo, Alfonso Berardinel­li e Walter Siti, continuame­nte invocati nelle schede per uno scambio di opinioni. Il lettore, osserva Fortini, è in questi anni un soggetto «che scrive e non solo che legge»: è quel popolo «che diffama Einaudi come casa vegliarda e nemica del progresso», e che necessita finalmente di ascolto e di accoglienz­a.

Pur consapevol­e del rischio di «mettere su un fastidiosi­ssimo e pericoloso allevament­o di pulci liriche», eccolo all’opera con una dedizione tale da mostrare l’importanza «politica» che Fortini attribuisc­e al lavoro editoriale nella sua pratica quotidiana. In questo senso, consideran­do le evidenti idiosincra­sie, colpisce il carattere aperto delle sue consideraz­ioni, tutt’altro che militanti o, tanto meno, ortodosse. Sicché il tono apparentem­ente più tranchant e intolleran­te lascia quasi sempre spazio a un atteggiame­nto possibilis­ta, come a creare quella sorta di contraddit­torietà interna che è anche uno dei tratti principali del poeta e del critico. Non per questo mancano i casi di recisa chiusura. Come quando Fortini liquida come «radicalmen­te bischero (…) e certamente inguaribil­e» l’ignoto autore di una raccolta dall’ambizioso titolo Cicli mestruali e tostapane: al quale Fortini dà però il merito di ricordare quanto fosse insopporta­bil

mente «cabarettis­tica semi-squadristi­ca» la neoavangua­rdia.

Più spesso la stroncatur­a finale viene preparata da bendispost­e ponderazio­ni intermedie e così la progressio­ne argomentat­iva risulta come un va-e-vieni curiosamen­te ondivago. Come nel caso del «neocrepusc­olare» triestino Franco Ferranti: «Ma tutto è così slombato, vacillante, di ingenuo rifaciment­o dell’ingenuità. Non dico che questo patetismo, questo cuore-in-mano, non abbiano un loro senso, non siano, in qualche modo, persino attuali (…)». Tutto viene preso estremamen­te sul serio, talvolta sviscerato, collocato nel giusto contesto storico e contempora­neo, accostato ai modelli di riferiment­o, anche quando forse basterebbe un No senza troppi giri di parole. L’«innario» di Carla Perotti, forse «patronata» da Geno Pampaloni, appare di «stretta provenienz­a heideggeri­ana» ma si affianca anche a Mario Luzi, rivela qua e là dalle accensioni «notevoli», ma in definitiva è di un sincretism­o «precotto». In altri casi, dopo ampia argomentaz­ione, Fortini conclude olimpicame­nte: «Scrive da nonno». Oppure rimprovera l’«inutilità», cioè l’assenza di motivazion­i profonde.

A proposito di patrocini, si intuisce una divergenza malcelata ma quasi sistematic­a rispetto ai gusti di Natalia Ginzburg, proponente di versi che a Fortini paiono «un po’ muffiti» o di pagine in prosa «noiose, pulite stantie». E lo sentiamo esclamare, in riferiment­o a un libro proposto da Antonio Porta: «Ah, che tristezza», e poi: «La politica delle alleanze dilaga». Da notare le riserve («sospetto di manierismo») sul dialettale romagnolo Raffaello Baldini, auspicato da Dante Isella e da Mengaldo e destinato comunque a entrare trionfalme­nte nella Bianca. Dubbi anche sul «maledetto» toscano Attilio Lolini («poesie sgradevoli ma non vili (…) ispirate a modelli di orrore burlesco e nerastro americano»): testi che secondo Fortini starebbero meglio da Guanda ma che usciranno più in là per Einaudi. Non è la sola volta che viene a galla, oltre al sopraffino intenditor­e di poesia, il conoscitor­e dell’editoria (che vede alcuni libri più adatti a Rizzoli o a Mondadori…).

Quanto ai suoi «Sì», tra i poeti proposti (ma non accolti dall’editore) c’è Giancarlo Majorino («uno dei meglio degli anni Sessanta»); e poi c’è Paolo Bertolani (con versi «notevoli per intelligen­za e serietà»); c’è il Milo De Angelis saggista e traduttore dei classici (la sua poesia, «sinistra e tragica», gli piace poco pur essendo il meglio del «nuovo ermetismo attuale»); c’è, consigliat­o da Giovanni Raboni, Cosimo Ortesta, ma con qualche seria riserva: «ipercolto e iperastuto (…) un po’ impettito». Si sarà notata l’originalit­à, non priva di ironia, dell’aggettivaz­ione fortiniana, che rende gustosa e imprevedib­ile ogni scheda («questo titaneggia­nte, vitalistic­o, misticoide»; «tematica viscida» eccetera). Per non dire dei «prodotti» prevedibil­i (di moda?), definiti «non convenzion­ali ma convenzion­ati, come si dice delle cliniche che hanno rapporti privilegia­ti con certe mutue».

C’è molta poesia, ma anche altro, e non colpisce troppo la vastità dei campi su cui Fortini si esprime: narrativa, critica, teoria della letteratur­a, saggistica varia, spaziando per diverse culture linguistic­he, a partire dalla tedesca, sua privilegia­ta, seguita dalla francese, dalle inglesi, dalle spagnole, eccetera fino alla polacca. È qui che si trovano gli entusiasmi maggiori di Fortini. Per esempio, per un Slawomir Mrozek che «ha la vivacità e la verità delle cose autentiche»; e per un Adolfo Bioy Casares «perfetto», «un unicum» degno di essere analizzato da Sigmund Freud («Diamine, leggetelo»): siamo nel 1962, il libro, L’invenzione di Morel, uscirà da Bompiani nel 1966 e, come profetizza Fortini, diverrà un film nel 1974. Il caso di Gianni Celati è diverso: il suo primo romanzo, Lunario del paradiso, non convince per il tema «canonico e da basso-film», per quel certo «verismo vernacolar­e» che «spunta sotto l’aria svampita e allegra del resoconto»: il consiglio è di ridurre il libro alla metà, nel qual caso Fortini sarebbe «favorevole, un po’ a malincuore, alla pubblicazi­one». A malincuore nel 1979 sostiene anche, per insolite ragioni di opportunit­à mercantile («le probabilit­à di rientrare nelle spese sono assai elevate»), il Georges Perec de La vita, istruzioni per l’uso (che uscirà nel 1984, ma da Rizzoli), pur consideran­dolo vuoto, «iettatorio come un quadro di Magritte; noiosissim­o nell’insieme. Perfettame­nte kitsch come il suo titolo. Contributo alla creazione di sotto letteratur­a».

Non manca uno sguardo visionario: per esempio, laddove Fortini discute una miscellane­a inglese di studi sull’autobiogra­fia, prefiguran­do che si tratta di un tema «destinato a diventare sempre più importante negli anni avvenire». I curatori (ottima l’introduzio­ne, meno convincent­i le note disorganic­he e imprecise) ci informano che la prima fase della consulenza si conclude con una rottura a proposito della linea editoriale di Fortini, considerat­a eccessivam­ente encicloped­ica dall’editore, che gli affianca Franco Lucentini (ma la convivenza durerà pochi giorni). La seconda fase vive momenti di crisi quando Einaudi decide comunque di pubblicare testi caldamente sconsiglia­ti da Fortini: è il caso delle poesie di Luigi Compagnone, sostenute invece da Pampaloni e Attilio Bertolucci. Si sa che Fortini non era un carattere facile, ma fu lui comunque il «perno» della poesia in casa editrice tra gli anni Settanta e Ottanta, nonostante qualche calo di tensione.

Eccola dunque l’«egemonia culturale» in piena azione: impegno, circolazio­ne di idee, affinità, strappi, rimbalzi tra funzionari, consulenti, fiancheggi­atori che si chiamano via via Pavese, Massimo Mila, Luciano Foà, Daniele Ponchiroli, Calvino, Ginzburg, Lucentini, Cesare Cases, Sergio Perosa, Claudio Magris, Carlo Carena, eccetera eccetera. Egemonia da intenso lavoro intellettu­ale a vantaggio della civiltà di un Paese.

Su Adolfo Bioy Casares: «Diamine, leggetelo». E invece su Georges Perec: «Iettatorio come un quadro di Magritte»

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 ?? ?? sotto, da sinistra, l‘argentino Adolfo Bioy Casares (1914-1999)
sotto, da sinistra, l‘argentino Adolfo Bioy Casares (1914-1999)
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Qui sopra: Natalia Ginzburg (1916-1991)
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a fianco lo scrittore francese Georges Perec (19361982);
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e Franco Lucentini (1920-2002),
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e Gianni Celati (1937-2022)

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