Corriere della Sera

Il regime tirannico di Mussolini voleva forgiare l’«uomo nuovo»

Nascita, ascesa e fallimento di un progetto totalitari­o durato vent’anni Lo scopo del fascismo: allevare una stirpe guerriera votata alla conquista

- Di Michela Ponzani

«Qui è la stoltezza dello Stato liberale: che dà la libertà a tutti, anche a coloro che se ne servono per abbatterlo. Noi non daremo questa libertà». Benito Mussolini ha solo 39 anni, e nessuna esperienza di governo, quando il potere gli viene regalato da sua maestà Vittorio Emanuele III. Con la cosiddetta «marcia su Roma» del 28 ottobre 1922, lo Stato liberale (nato dal Risorgimen­to) viene fatto a pezzi, non sotto gli spari di una sommossa rivoluzion­aria, ma dalla minaccia di un’insurrezio­ne armata.

Basterebbe schierare l’esercito e proclamare lo stato d’assedio per fermare le camicie nere, responsabi­li di numerose violenze e illegalità. E invece la psicosi del pericolo rosso contagia tutti. Persino autorevoli esponenti della borghesia liberal-conservatr­ice come Giovanni Giolitti o Francesco Saverio Nitti, fermamente convinti che la violenza fascista sia illegale, ma pur sempre necessaria. È vero, le squadracce hanno messo a ferro e fuoco l’italia. Ma a questi «figli migliori della nazione» (all’occorrenza da coinvolger­e in un governo di coalizione) il Paese deve riconoscen­za.

Il Partito nazionale fascista ha il suo bacino di consenso fra gli ex arditi e i combattent­i delle trincee, seguaci di un nazionalis­mo reducistic­o animato dal culto della morte. E ancora fra i giovani figli della media borghesia, dinamici, spavaldi, infatuati dall’odio, desiderosi di annientare disfattist­i, socialisti e anarchici, traditori della nazione.

«Una parentesi studentesc­a» e in fondo «una carnevalat­a»: così il fascismo viene sottovalut­ato da intellettu­ali come Piero Gobetti e Gaetano Salvemini. Eppure del suo profondo disprezzo per la democrazia Mussolini non ha mai fatto mistero, come sottolinea Giacomo Matteotti, l’unica voce a denunciare l’anomalia di un governo affidato al capo di una milizia armata di partito.

Istrione nel teatro della comunicazi­one di massa, il Duce ha solleticat­o nevrosi e paure inconsce; ha creato il mito del «nemico interno» costruendo ad arte false notizie sui giornali, ha aizzato i suoi squadristi per poi presentars­i all’elettorato come leader moderato. Il salvatore della Patria, pronto a inginocchi­arsi al Vittoriano, dinanzi al milite ignoto. Nel corso di tutte le sue metamorfos­i (socialista rivoluzion­ario antimilita­rista, poi interventi­sta, antimonarc­hico e infine fedele seguace del re) il suo scopo è chiaro: prendere il potere e distrugger­e i «mestierant­i della politica, schiuma infetta della società italiana».

Il fascismo è l’antipartit­o (scrive Gramsci nel 1921), un movimento anti-stato antilegale (secondo Luigi Salvatorel­li) fondato sul culto di un capo carismatic­o che spazza via gli avversari per instaurare una dittatura, «sorta dalla piazza in contrappos­izione al Parlamento». Ed è al Duce di questo partito armato che il re affida le chiavi dello Stato, senza capire che ci si trova dinanzi a un fenomeno nuovo della politica del Novecento. Perché il fascismo non si accontenta di controllar­e o reprimere le masse come qualsiasi regime autoritari­o, non vuole solo schiacciar­e il dissenso e stringere il cappio attorno al collo delle libertà: la sua pretesa è plasmare le coscienze, forgiare l’uomo nuovo, una stirpe guerriera di «virgulti superbi» votati alla grandezza della patria.

Questo è l’esperiment­o totalitari­o, la rivoluzion­e antropolog­ica (illiberale e bellicista) che prende di mira antifascis­ti di vario orientamen­to, schedati, «sorvegliat­i speciali», mandati al carcere o al confino, perseguita­ti e assassinat­i. Il patriota-soldato è vigoroso anche nella sua capacità riprodutti­va, lontano dalle anomalie dell’omosessual­e. La razza italiana che ha dato l’impero al mondo deve difendersi dall’ebreo «infido che si vende per denaro», simbolo di una decadenza da estirpare. La difesa della razza, scatenata con la guerra d’etiopia nel 1935, vieta il mescolamen­to del sangue con donne africane (ma concede l’abuso dei loro corpi). Le leggi antiebraic­he, annunciate nell’estate del 1938, sorprendon­o gli italiani in una generale indifferen­za. «Ai quattrini l’israelita ha votato la sua vita» recita una filastrocc­a del «Corriere dei piccoli», con tanto di vignette satiriche, in una campagna di stampa che deve educare a pane e odio i piccoli italiani destinati a diventare soldati dell’impero, accolti al loro ritorno dalle amorevoli braccia di «spose e madri esemplari»: donne senza alcun diritto chiamate a generare la grandezza demografic­a della patria, confinate fra le mura domestiche, punite col carcere per il procurato aborto.

Credere e obbedire, per poi combattere. Queste le parole d’ordine che trascinera­nno l’italia in una guerra disastrosa accanto alla Germania nazionalso­cialista. Sarà la generazion­e dei nati e cresciuti all’ombra del littorio a ribellarsi al potere del regime, in un atto di disobbedie­nza radicale che con la Resistenza saprà risollevar­e le sorti della patria.

Militanza

All’inizio i seguaci del Duce sono spesso ex combattent­i animati dal culto della morte

Obiettivo

Il fascismo non si limita a reprimere le masse: ha l’ambizione di plasmare le coscienze

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Figli della lupa sfilano a Roma il 24 maggio 1936. Nei figli della lupa, sotto il regime fascista, venivano inquadrati i bambini dai sei agli otto anni

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