Nove minuti di applausi per gli eccessi di «Limonov»
Primo o poi era scritto che Kirill Serebrennikov avrebbe incontrato Lìmonov, entrambi affascinati dall’eccesso e dalla smodatezza, il regista dissidente russo autoesiliatosi in Europa con il suo gusto visivo per il barocco e lo scrittore e agitatore politico russo per la sua voglia di sfidare ogni convenzione. Così il film Limonov – The Ballad (9 minuti di applausi) che Pawel Pawlikowski e Ben Hopkins hanno tratto dal libro di Emmanuel Carrère, segue la vita disordinata di Eduard Veniaminovi, per gli amici Eddie, ma più conosciuto come Limonov (Ben Whishaw), prima in Unione Sovietica poi in Francia e negli Stati Uniti per poi tornare nell’urss, raccontandoci i suoi eccessi, le provocazioni, le ambizioni letterarie e infine le sue scelte politiche. Ma funziona meglio quando dà forma e vita ai romanzi che Limonov ha scritto: allora, specie nel suo volersi perdere dentro la New York degli anni ‘70, l’immaginazione del regista sa rendere vividi gli incubi autobiografici dello scrittore, molto più affascinanti dei suoi fallimenti letterari o dei suoi vaneggiamenti politici, a cui il film aderisce senza farsi troppe domande. In quanto a incubi e vaneggiamenti, comunque, anche The Substance (La sostanza) di Coralie Fargeat ne sfodera una bella dose. Il titolo si riferisce a un ritrovato che permette di creare un clone più giovane e più bello di se stesso: se ne fa tentare la cinquantenne Elizabeth Sparke (Demi Moore, che ne ha 61) per vendicarsi di chi l’ha licenziata dalla tv. E infatti Sue (Margaret Qualley), la «creatura» che abbiamo vista uscire dalla sua schiena diventa la nuova star del programma che conduceva Elizabeth. Ma quella trasformazione funziona a settimane alternate, regola che Sue non vuole accettare innescando l’attesa catastrofe. Poteva essere una rilettura del Faust aggiornata alle ossessioni sulla forma fisica e l’invecchiamento che continuano a imperversare nel mondo, con le due attrici che non hanno problemi a mostrarsi a lungo nude (e la regista non stacca l’obiettivo dai loro fondo schiena), ma poi la favoletta si prende un po’ troppo sul serio e vira verso un finale splatter che inonda lo schermo di sangue e mostruosità varie, divorandosi le ambizioni metaforiche per inseguire solo truculenza e trucidume, nonostante gli sforzi della Moore di recitare sotto chili di trucco.