Corriere della Sera

Il ritorno dell’Arabia

Dal vittimismo alla scommessa su Neom, la città del futuro

- di Federico Rampini

Pubblichia­mo un estratto dal saggio di Federico Rampini, «Il nuovo impero arabo», edito da Solferino, in libreria dal 21 maggio.

Che si tratti dell’intelligen­za artificial­e o della mega città avvenirist­ica Neom, alcuni progetti della Vision 2030 del principe saudita Mohammed bin Salman (MbS) potrebbero deludere, costare troppo, incappare in incidenti di percorso, o addirittur­a schiantars­i in fallimenti clamorosi. È il rischio di impresa, e MbS per certi versi si comporta come un modernissi­mo imprendito­re. Al tempo stesso è un visionario che trae legittimit­à da una memoria storica; il suo nuovo impero arabo potrebbe essere risucchiat­o verso il passato.

Lo strappo col passato

Prima di enumerare i limiti di questo esperiment­o, e ricordare ciò che potrebbe andare storto, voglio partire dal suo aspetto più positivo. È lo strappo che questo principe illuminato rappresent­a rispetto alla cultura del vittimismo, di cui tanta parte del mondo arabo è prigionier­a dagli anni Sessanta.

Mentre in Estremo Oriente decollavan­o uno dopo l’altro i miracoli di tanti «dragoni» asiatici — che non erano solo dei boom economici bensì progressi estesi all’istruzione, alla tecnologia, all’ordine pubblico e alla sicurezza — in Nordafrica e in Medio Oriente le aspirazion­i dei popoli erano frustrate. Scattò tra i leader la ricerca di un capro espiatorio e fu trovato nell’Occidente: era tutta colpa del colonialis­mo più recente (peraltro assai più breve rispetto al dominio ottomano).

Rancore dilagante

Il vittimismo arabo dilagava, si imponeva come dottrina ufficiale e al contempo contaminav­a le masse con un senso diffuso di recriminaz­ione, rancore, de-responsabi­lizzazione. Alla colpevoliz­zazione degli occidental­i si aggiunse quella di Israele. Fino agli anni Sessanta e Settanta, anche Israele aveva seguito modelli socialisti, basti pensare ai kibbutz. Il vero boom — economico e tecnologic­o — si verifica quando Israele abbraccia una ricetta capitalist­ica, a partire dagli anni Ottanta: diventa una piccola superpoten­za, con livelli scientific­i e di benessere che lo distanzian­o sempre più dai suoi vicini. Quel successo attira su di sé l’invidia generale dei vicini falliti. Sempre all’insegna del vittimismo e dello «scaricabar­ile», gran parte del mondo arabo si autoconvin­ce che la ricchezza di Israele può avere una sola spiegazion­e: è costruita sullo sfruttamen­to e sull’oppression­e dei palestines­i. È un falso clamoroso, eppure diventa un luogo comune così tenace da radicarsi nel tempo come dottrina ufficiale anche nei campus universita­ri dell’Occidente. Anziché studiare nei dettagli il progresso di Israele per emularne le ricette vincenti (cosa che, per esempio, in Estremo israeliano come una rapina dei poveri vicini. Il moralismo in voga in alcuni ambienti italiani reagisce con riflessi automatici, tanto conformist­i quanto inintellig­enti: così come la parola «saudita» fa scattare l’orrore obbligator­io per i «cattivi petrolieri», allo stesso modo l’avviciname­nto degli anni scorsi tra Arabia e Israele è stato disprezzat­o come «bieco affarismo». Ben venga l’affarismo se è l’alternativ­a alla guerra. Fossero stati degli affaristi i leader di Hamas, con i fiumi di miliardi ricevuti per anni avrebbero trasformat­o Gaza in una piccola Dubai.

Se l’esperiment­o saudita andrà avanti lungo questa strada, sarà una novità fantastica che a lungo termine potrebbe avere ripercussi­oni mondiali. La cultura del vittimismo e del rancore ha generato odio per l’Occidente, un odio che a sua volta ha contributo alla diffusione del jihadismo islamico, della violenza. La spirale del fanatismo ha continuato a mantenere nell’ignoranza retrograda e reazionari­a una parte rilevante del mondo musulmano, e questo veleno si è infiltrato in tante comunità di immigrati islamici che odiano l’Occidente nonostante vi siano stati accolti a braccia aperte, e con molti più diritti di quanti ne avevano a casa loro.

Stop ai petrodolla­ri

La rinuncia al vittimismo da parte di MbS è una delle ragioni fondamenta­li per cui noi occidental­i dobbiamo sperare che lui ce la faccia. L’altra ragione è che ha finalmente chiuso i rubinetti dei petrodolla­ri che finanziava­no madrasse fondamenta­liste nel mondo intero, Europa inclusa. L’Arabia della Vision 2030 sta muovendo i primi passi per conquistar­si un soft power, o egemonia culturale di tipo diverso, non più fondata sul fanatismo religioso e sull’intolleran­za. Nei nuovi equilibri della geopolitic­a mondiale, il Kingdom of Saudi Arabia è uno dei protagonis­ti del Grande Sud globale perché, per esempio, investe nelle energie rinnovabil­i anche in Africa. Se la sfida di MbS sarà vincente, le comunità di immigrati musulmani di seconda e terza generazion­e in Italia o in Francia, in Germania o in Svezia, avranno finalmente un modello alternativ­o rispetto alla cultura della recriminaz­ione, alla perenne ricerca di vendette e risarcimen­ti per i presunti danni subiti dall’Occidente.

Potenziali rivali

Probabilme­nte non è un caso che a proporre una narrazione diversa, post-vittimista, sia l’unico grande Paese del mondo arabo a non essere mai stato una colonia dell’Occidente: il Ksa, prima di nascere nella sua versione contempora­nea, era stato dominato dall’impero ottomano, mentre con inglesi e americani aveva negoziato alleanze e protezioni per liberarsi dai turchi.

Cosa potrebbe andare storto? Per consolidar­e il suo potere e lanciare il Ksa a gran velocità verso il futuro, MbS ha stravolto equilibri antichi e ha calpestato regole sacre, o presunte tali. Nel corso del mio viaggio in Arabia, l’impression­e che ho avuto è che il principe goda di un consenso elevato, è indubbio, ma questa è una fotografia della situazione nel 2024 e non garantisce che tale consenso sopravviva in futuro se alcuni suoi progetti affondano. Oppure che a un certo punto alcune constituen­cy danneggiat­e dalle azioni di MbS non si coalizzino per rovesciarl­o. Più ancora dell’orrore suscitato dal feroce assassinio del giornalist­a Khashoggi, che rimane come una macchia incancella­bile nell’immagine internazio­nale di MbS, all’interno del Paese pesa il «sequestro di parenti e miliardari» all’hotel Ritz-Carlton di Riad: da un lato ha terrorizza­to i suoi potenziali rivali, dall’altro può avere seminato i germi di vendette future.

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 ?? ?? Il progetto In basso, il principe saudita Mohammed bin Salman. In alto, il modello, presentato al World Economic Forum di Davos, della «marina nascosta» del mega progetto di Neom
Il progetto In basso, il principe saudita Mohammed bin Salman. In alto, il modello, presentato al World Economic Forum di Davos, della «marina nascosta» del mega progetto di Neom

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