Elena Pettinelli La cercatrice d’acqua (e di vita) tra l’Universo e le lune di Giove
Docente di Fisica terrestre, ha vinto un bando Ue con il suo progetto Swim «Non sono mai stata un genio, solo una buona studentessa molto testarda»
«Ricordo quel giorno di luglio, sulle ginocchia del nonno, a guardare in tv le immagini in bianco e nero del primo uomo sulla Luna». Forse tutto è davvero cominciato da lì, grazie ad un “uomo di fine Ottocento”, come lo chiama oggi la nipote scienziata, che aveva fatto il marconista in guerra e le spiegava come aggiustare le radio. «Mi diceva “se si rompe la resistenza usa la matita che è fatta di grafite e quindi è un conduttore”». Cinquantacinque anni dopo, quella bambina si prepara a guidare un laboratorio all’avanguardia che cercherà acqua liquida e quindi la possibilità di vita extraterrestre sulle lune ghiacciate di Giove. Il progetto Swim della professoressa Elena Pettinelli è collegato alle esplorazioni spaziali dell’Esa e della Nasa che a partire dal 2031 investigheranno i satelliti galileiani Europa, Ganimede e Callisto: attraverso le misure radar che le missioni EsaJuice ed Europa Clipper acquisiranno, il team italiano cercherà l’acqua sotto le croste ghiacciate, cioè un possibile habitat per lo sviluppo di una vita simile alla nostra, in senso evolutivo. «Una vita a base carbonio: la cellula, il mitocondrio, i batteri, gli estremofili, la biochimica che sappiamo riconoscere. Ma il rischio è che la scienza attuale potrebbe non vederla», spiega la professoressa di Fisica terrestre all’Università Roma Tre.
Da quasi 25 anni, Elena Pettinelli fa ricerca nel campo dell’esplorazione geofisica planetaria, con particolare riguardo alle tecniche di analisi, inversione ed interpretazione dei segnali acquisiti con radar sottosuperficiali. Di tutto questo, e molto altro ancora, si parlerà il 24 maggio al Convegno «Sull’acqua Scienza e bellezza», dedicato al divulgatore scientifico Pietro Greco, che si terrà all’Università Roma Tre, organizzato dal Master in Comunicazione della scienza diretto da Pettinelli. E pensare che a scuola, dice lei, «non sono mai stata un genio: ero una studentessa media con buone attitudini verso le materie scientifiche. Più che altro sono molto testarda».
È con la perseveranza che, passo dopo passo, Pettinelli si è laureata in geofisica con il massimo dei voti alla Sapienza, poi ha conquistato il dottorato in Ingegneria e vinto una borsa di studio del Cnr per continuare gli studi in Canada. «Lavoravo già sullo strumento che ancora oggi utilizzo per investigare i pianeti», spiega. «Allora era una tecnica nuova». All’estero ha capito cosa significa fare ricerca a livello internazionale, «ti cambia totalmente i parametri».
Il ritorno in Italia non è stato, però, una passeggiata: un post-doc in scienze elettrofisiche ad Ingegneria e tanto precariato. Visto che in università non c’era posto per lei, ha fatto una deviazione nella ricerca medica - in un team del Santa Lucia in risonanza magnetica per il cervello - fino alla telefonata «che ti cambia la vita». L’Agenzia spaziale italiana cercava un esperto per una missione, Pettinelli era l’unica in Italia a sapere come gestire strumenti e misure. Con il sostegno del suo professore-mentore Francesco Bella, che dalla Sapienza si era spostato a Roma Tre, è nato così il suo primo laboratorio di ricerca. «Quando mi sono stabilizzata come professoressa, ho cominciato a studiare il pianeta Marte assieme ad un collega del Cnr e a collaborare con il radar di Giovanni Picardi». Era il 2005, la professoressa faceva misure di supporto in laboratorio alle ricerche. Tredici anni dopo, è arrivata la scoperta che ha sconvolto il mondo scientifico: un laghetto al Polo sud di Marte, identificato attraverso l’analisi dei dati raccolti dal radar italiano Marsis. Non senza ostacoli e strascichi polemici. «C’è stata una forte contrapposizione con i ricercatori americani che avevano i dati ma noi abbiamo scoperto il lago e loro non ci hanno creduto. Quando noi abbiamo pubblicato l’articolo su Science, è cominciata una diatriba terribile, con smentite e contro-smentite: un ping pong scientifico. Poi abbiamo scoperto altri laghi su Marte».
La professoressa Pettinelli non ha più smesso di studiare i segreti dello spazio. È partito il progetto sui satelliti di Giove, con l’Agenzia spaziale italiana ed europea, e nel 2023 ha vinto l’European Research Council grant, un bando molto selettivo e prestigioso, con il suo progetto Swim (Surfing Radio Waves to Detect Liquid Water in the Solar System). «Ho ottenuto 3,2 milioni per cinque anni con cui costruirò un laboratorio all’avanguardia per supportare la ricerca di acqua liquida nelle lune ghiacciate di Giove e assumerò sei dottorandi e postdottorandi», spiega. «Il mio obbiettivo è far crescere una generazione nuova che si occuperà di queste missioni nel lungo periodo».
Ma perché proprio i satelliti galileiani di Giove? «Tre su quattro hanno una crosta ghiacciata fuori e un cuore caldo, ossia c’è un oceano liquido dentro, e queste sono condizioni molto favorevoli
allo sviluppo di vita. Vogliamo capire a che profondità è l’oceano, se ha un contatto con la superficie, se c’è una certa situazione chimica e una stabilità in cui può svilupparsi la vita. Una vita che ci abbia provato o ci sia ancora all’interno di questa acqua calda. Almeno qualche forma microbica, la base dello sviluppo della vita».
Per ora la ricerca si fa con le sonde e con una serie di strumenti che analizza le «condizioni di abitabilità»; un domani bisognerà atterrare su quelle lune con sensori biologici. È quello che si vorrebbe fare anche sul Pianeta Rosso con la missione ExoMars dell’Esa, che finora però non è riuscita a partire. «L’obbiettivo è fare un buco con il trapano nel sottosuolo di Marte per vedere se ci sono tracce biologiche, una sorta di chimica che dimostri che la vita lì quantomeno ci ha provato».