SOLDI E AMBIENTE L’ALT(R)A FINANZA CONTRO GLI ESG
Chi attenta agli obiettivi di sostenibilità dell’ecosistema legati all’Agenda Onu 2030 e alla Net Zero? Anche se tutto ormai è «transizione verso» tali obiettivi, con rimandi e dilazioni, stiamo assistendo ad un attacco agli Esg (Environmental, Social, Governace) come «cifra» degli investimenti delle imprese e degli «operatori del mercato finanziario».
Il Wall Street Journal ha parlato della resistenza delle imprese al controllo ambientale e sociale del proprio business in un articolo del 9 gennaio scorso, intitolato «The Latest Dirty World in Corporate America: Esg» (L’ultima parolaccia nel mondo aziendale americano: Esg). Cosa sta succedendo? È la rivolta di un certo numero di leader aziendali che stanno facendo uno sforzo consapevole per evitare l’operatività dei pilastri Esg e la sua concettualizzazione, già ampiamente utilizzata dagli «operatori del mercato finanziario». Essa è parola d’ordine per la gestione delle imprese Corporate social responsibility - Csr oriented e imprese sociali (B-Corp, Società Benefit e così via) .
C’è un ridimensionamento in atto? In verità i dati, letti in logica finanziaria non speculativa, dicono altro. A Wall Street, guardando l’indice Standard&Poor 500 Esg (con sostenibilità) a partire da marzo 2020 si nota un incremento dell’85,3% contro il 76,6% dell’indice del tradizionale Standard& Poor 500 (senza sostenibilità). Standard&Poor
500 perde anche sull’arco dei tre anni: 33,5% contro 38,7% Standard&Poor 500 Esg. L’indice tradizionale vince invece a breve con il 9,4% contro il 9,1%.
Questo attacco viene motivato con la complessità del calcolo dell’Esg e dai costi da affrontare. Ma c’è un presupposto di contesto.
Primo: l’Organizzazione Mondiale della sanità (Oms) afferma che, nel mondo, quasi 7 milioni di persone ogni anno muoiono a causa dell’inquinamento atmosferico. Secondo: tale inquinamento è causato da impianti di riscaldamento (38,8%), veicoli leggeri (9%), merci su strada (7,1%), agricoltura (6,7%), produzione industriale (11,1%), altri trasporti (5%), produzione energetica (4,8%) e altri fattori (3,2%). Dunque le cause principali dell’inquinamento atmosferico attuale sono il traffico motorizzato, la combustione della legna, l’agricoltura e l’industria.
Sempre il 9 Gennaio 2024 è uscito anche un libro della scienziata Hannah Ritchie (Not the end of the world) dell’Università di Oxford e head del sito «Our world in data». Il tema è la sostenibilità. Fra l’altro vi si afferma che l’utilizzo di combustibili fossili provoca l’87% delle emissioni di Co2 e che il mondo così non è sostenibile perché l’inquinamento atmosferico da energia fossile uccide 3,6 milioni di uomini nel mondo ogni anno. Un Armageddon annunciato?
*Università Bocconi