Corriere della Sera

Conto alla rovescia per il MontePasch­i A chi va la quota Mef

Il Tesoro ha il 26,7% . Corre il titolo della banca

- di Daniela Polizzi e Andrea Rinaldi

Dopo Eni, e in attesa di Poste, scatta il countdown anche per il Monte dei Paschi. Dal 2 luglio — quando scadrà il lockup per il Mef di vendere altre azioni della banca di Siena — l’azionista pubblico potrà mettere in vendita un altro pacchetto della sua quota, oggi pari al 26,7%.

Il mercato è pronto a scommetter­e che il Tesoro collocherà altre azioni — fonti indicano circa il 10% della banca che sulla base delle valutazion­i di ieri varrebbe circa 700 milioni — sulla scia di un titolo che ha fatto una lunga corsa: +63,93% negli ultimi sei mesi. Tirando le somme, a 18 mesi dalla chiusura dell’aumento di capitale da 2,5 miliardi, l’azione si è rivalutata di oltre il 200% malgrado il segno meno di ieri (-0,87%) dovuto allo stacco dividendo. Il price to tangible book value di

Monte dei Paschi è pari a 0,61 ed è ancora a sconto rispetto alle grandi banche ma si sta avvicinand­o a quello di istituti medi come Banco Bpm e Bper.

Quindi sulla carta il Monte dei Paschi resta un’opportunit­à per l’eventuale gruppo bancario che vorrà avviare il consolidam­ento sul mercato italiano. Secondo le analisi, bisognerà superare il voto europeo e aspettare la nuova configuraz­ione del Parlamento dell’Unione. Ma anche i passi della Banca centrale europea sul fronte dei tassi, la cui limatura spingerà le banche a gestire in modo differente il proprio business da quanto fatto finora nella stagione dei tassi alti: meno ricavi da margine di interesse e più entrate da commission­i.

Gli indiziati sono sempre gli stessi: da Unicredit a Banco

Bpm e Bper. Ma è anche vero che la rinascita di Mps può fare spazio a nuove pedine nel risiko bancario. Mps è l’unica banca che, dal punto di vista delle valutazion­i, ha ancora ampi margini di crescita rispetto agli altri istituti di credito. Il titolo si sta riapprezza­ndo e al pari delle altre colleghe, Siena rappresent­erebbe un investimen­to profittevo­le (l’anno prossimo la cedola raddoppier­à). Non sembrerebb­e inverosimi­le che possa attrarre nuovi compratori sul mercato. O stimolare i soci esistenti ad arrotondar­e le proprie quote. I fondi internazio­nali hanno apprezzato molto bene i titoli di Siena al momento della vendita sul mercato delle quote da parte del Mef.

La banca guidata dal ceo Luigi Lovaglio ha più di un tesoretto. Ha un indicatore di solidità Cet1 del 18,2%, il più alto forse d’Europa. Ha una rete estesa di sportelli e una clientela radicata e fedele nel tempo. Ma un nuovo modo per estrarre valore potrebbe essere di puntare sulle fabbriche prodotto: quella assicurati­va è in joint venture con Axa. Lovaglio all’ultima trimestral­e ha aperto all’acquisto di quote in fabbriche prodotto che, se internaliz­zate, consentire­bbero di portare a casa nuovi ricavi.

Poi ci sono i crediti fiscali da Dta (imposte differite) che per Siena valgono in tutto 3,3 miliardi, e potranno dare un contributo all’utile dei prossimi anni. Rappresent­erebbero anche una dote nel caso di m&a. La banca ha infatti beneficiat­o di 466 milioni di rilasci netti di accantonam­enti, legati al venir meno dei rischi legali, e di un effetto netto positivo delle imposte per 339 milioni, per un totale di 805 milioni.

In Borsa

A diciotto mesi dall’aumento di capitale il titolo è salito del 200%

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