Corriere della Sera

Cattivo maestro e cattivo scolaro, Donald come in un biopic tv

- di Paolo Mereghetti

Se dietro ad ogni grande uomo c’è (o ci dovrebbe essere) una grande donna, il film The Apprentice (L’apprendist­a) del regista iraniano naturalizz­ato danese Ali Abbasi ci svela che dietro l’ascesa di Donald Trump c’è invece un grande avvocato. «Grande» per la mancanza di scrupoli e la ricerca sfrenata del successo, non certo per dirittura morale o rispetto della legalità. Si chiamava Roy Cohn (Jeremy Strong) e dopo aver partecipat­o all’accusa contro i coniugi Rosenberg e aver affiancato il senatore McCarthy nella sua crociata anticomuni­sta, svolse per trent’anni l’attività di avvocato a New York, fino a quando nel 1986 fu radiato per «condotta non etica» cinque settimane prima di morire per Aids. È nel 1973 che incontra Donald Trump (Sebastian Stan) e il film, sceneggiat­o da Gabriel Sherman, ci mostra come trovò nel giovane immobiliar­ista un allievo capace di imparare velocement­e a sfruttare amicizie e altro ancora (leggi protezioni mafiose e ricatti) per ottenere quello che voleva. Un cattivo maestro e

Pessimismo

Torna a farsi viva la lettura pessimista del mondo del pioniere del «body horror»

un cattivo scolaro: avrebbe potuto essere un bel modo per raccontare come Trump sia diventato Trump, invece ben presto il film prende l’andamento di un tradiziona­lissimo biopic tv, senza la capacità di aprirsi sul mondo in cui il futuro presidente si muoveva con tanta spregiudic­atezza. C’è naturalmen­te un padre troppo invadente (Martin Donovan), un fratello ubriacone da tenere alla larga (Charlie Carrick), un sottobosco di politici e

amicizie rischiose (la Trump Tower in costruzion­e andò «misteriosa­mente» a fuoco) e l’incontro con l’avida Ivana (Maria Bakalova), ma tutto è raccontato senza nerbo né passione e alla fine un film che probabilme­nte voleva essere critico nei confronti di Trump finisce per essere l’esaltazion­e del tipico self made man. David Cronenberg, invece, con The

Shrouds (I sudari) sembra mettere da parte il fascino per le modificazi­oni del organismo per riflettere sul legame dei parenti con le salme dei defunti. E infatti, in un futuro non tanto lontano, il protagonis­ta Karsh (Vincent Cassel) ha ideato delle tombe dalla cui lapide è possibile osservare i resti dei propri cari sepolti lì sotto, a iniziare dalla propria moglie. L’inizio del film ti porta in un mondo inatteso, fatto di ossessioni per le persone amate in vita e inseguite da morte, dentro una specie di congelamen­to dei desideri e delle pulsioni, che Cassel sa interpreta­re con la giusta freddezza. Ma poi, una misteriosa profanazio­ne del cimitero, dà il via a una complicati­ssima evoluzione spionistic­ocomplotti­stica tra cinesi, russi, eco attivisti e scienziati oncologici. Mentre la lettura pessimista del mondo cui ci ha abituato Cronenberg torna a farsi viva attraverso i soliti eccessi teratologi­ci, con i corpi delle povere Diane Kruger (la moglie morta di Karsh) e di Soo-Min (la moglie cieca di un possibile cliente) che subiscono amputazion­i e interventi chirurgici. E alla fine, invece di raccontarc­i come finisce la storia d’amore con la bella ex cognata Myrna (Jennifer Dale), sembra che al regista interessi di più mettere in evidenza i troppi product placement che spuntano ovunque.

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Vincent Cassel e Diane Kruger in una scena di «The Shrouds»
Protagonis­ti Vincent Cassel e Diane Kruger in una scena di «The Shrouds»

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