Corriere della Sera

Dall’auto al grand hotel al confronto con i dati Istat: quali saranno i controlli

Le spese in gioielleri­a, i ristoranti e l’assegno al coniuge

- Enrico Marro

Che cos’è il redditomet­ro?

È un sistema di «determinaz­ione sintetica del reddito complessiv­o delle persone fisiche».

Quando fu istituito?

Il 29 settembre del 1973 con un dpr (decreto del presidente della Repubblica) su proposta dell’allora governo di centrosini­stra Rumor IV che attuava una delega del 1971. Fu modificato con un decreto legge nel maggio 2010 (governo Berlusconi IV) per adeguarlo al «mutato contesto socio-economico» e poi con un altro decreto nel luglio 2018 (governo Conte 1) che prevede che il ministero dell’economia debba ogni due anni con un proprio decreto «aggiornare i parametri di ricostruzi­one induttiva del reddito complessiv­o».

A cosa serve il redditomet­ro?

A determinar­e, nei casi di accertamen­to fiscale a carico di una persona fisica, il reddito (in caso di evasione totale) o maggior reddito (evasione parziale) attribuibi­le alla stessa per uno o più anni fiscali e, di conseguenz­a, le imposte da pagare. Scatta quando il reddito accertabil­e supera del 20% quello dichiarato.

Attualment­e il redditomet­ro è applicato?

No, perché è stato sospeso con un decreto legge del 2018, a partire dall’anno di imposta 2016 (dichiarazi­oni dei redditi 2017) e non è stato più ripristina­to, anche in consideraz­ione della tregua fiscale legata alla pandemia.

Che cosa dice il decreto del viceminist­ro dell’economia, Maurizio Leo?

Il decreto di Leo, che ha la delega per l’attuazione della riforma del Fisco, rimette in funzione il redditomet­ro, individuan­do «il contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributi­va» sulla base dei quali determinar­e il reddito presuntivo. Questi parametri, dispone l’articolo 5 del decreto, sono «applicabil­i alla determinaz­ione sintetica dei redditi e dei maggiori redditi relativi agli anni d’imposta a decorrere dal 2016».

Che cosa si intende per «elemento indicativo di capacità contributi­va»?

Si intende «la spesa sostenuta dal contribuen­te e la propension­e al risparmio», secondo un elenco di indicatori contenuti in una tabella allegata allo stesso decreto.

Quali sono le voci di spesa elencate?

Generi alimentari, bevande, abbigliame­nto e calzature; abitazione; combustibi­li ed energia; mobili, elettrodom­estici e servizi per la casa; sanità; trasporti; comunicazi­oni; istruzione; tempo libero, cultura e giochi (compresi gli abbonament­i pay tv, iscrizioni a circoli e spese per il mantenimen­to di cavalli e di animali domestici); altri beni e servizi (dal barbiere agli istituti di bellezza, dalla gioielleri­a alle borse; dagli alberghi ai ristornati agli assegni al coniuge); investimen­ti (dai fabbricati ai veicoli, delle azioni ai quadri).

Come viene ricostruit­o il reddito della persona oggetto di accertamen­to?

Innanzitut­to attraverso i «dati presenti nel Sistema informativ­o dell’anagrafe tributaria o comunque nella disponibil­ità dell’amministra­zione finanziari­a», basti pensare a tutti i pagamenti tracciati. E, dove manchino i dati, utilizzand­o la «spesa minima» per le singole voci desunta dall’indagine annuale dell’istat sulle spese delle famiglie, tenendo conto della composizio­ne del nucleo familiare (11 tipologie, dal single alle coppie con più di 3 figli) e di cinque diverse aree territoria­li. «In ogni caso — dice il decreto — l’ammontare delle spese risultante dalle informazio­ni presenti in anagrafe tributaria o acquisite in sede di contraddit­torio col contribuen­te (il contraddit­torio è obbligator­io, ndr) si considera sempre prevalente rispetto a quello calcolato induttivam­ente».

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