Corriere della Sera

Dall’ex Jugoslavia ai dittatori africani Le scommesse di Karim Khan

Il procurator­e vuole mostrarsi indipenden­te

- dal nostro corrispond­ente a Parigi Stefano Montefiori

Mi pare inaccettab­ile che si equipari un governo legittimam­ente eletto con un’organizzaz­ione terroristi­ca, causa di tutto ciò che sta accadendo Antonio Tajani ministro degli Esteri

Il procurator­e Karim Khan ha deciso di scommetter­e forte. Vuole dimostrare che «nessuno è sopra la legge», come ha detto alla Cnn. Che la Corte penale internazio­nale è indipenden­te e imparziale, ed è quindi capace di perseguire i capi di Hamas come pure il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant.

Una equiparazi­one di fatto tra terroristi islamisti e leader democratic­amente eletti che ha suscitato le proteste di Stati Uniti e Italia, ma che nel medio termine potrebbe convincere Israele a cambiare rotta, evitando di diventare definitiva­mente uno Stato paria; oppure, un azzardo che potrebbe anche ritorcersi contro al suo autore e screditare la Corte dell’aia, che già patisce il fatto di non avere tra i suoi membri Stati Uniti, Russia e Cina, e che potrebbe scadere nell’irrilevanz­a internazio­nale se la decisione di Khan restasse un simbolo privo di conseguenz­e.

Non è la prima volta che Karim Khan sceglie strade poco battute. Nato nel 1970 a Edimburgo, figlio di un dermatolog­o pachistano e di un’infermiera britannica, Khan fa parte della corrente musulmana riformista Ahmadiyya che è stata cacciata come eretica dal Pakistan. Nei suoi discorsi non esita a usare espression­i tipiche della tradizione islamica, come gli è capitato redigendo il report annuale della Corte penale internazio­nale del 2022: «Domando ai sopravviss­uti di qualsiasi regione del mondo di dare prova di pazienza, ma mi impegno a dire loro sempre la verità pura e semplice, Inshallah». Il che era apparso un po’ irrituale allora, e oggi pone forse qualche problema di neutralità.

Fratello dell’ex deputato conservato­re Ahmad Kahn, come lui allievo del prestigios­o King’s College di Londra, Karim Khan ha cominciato la sua carriera di giurista come consiglier­e dei due tribunali internazio­nali per l’ex Jugoslavia e il Ruanda, e nel marzo 2023 ha fatto parlare di sé per la decisione — finora priva di grandi risultati — di emettere un mandato di arresto contro il presidente russo Vladimir Putin, accusato di crimini di guerra per la deportazio­ne di migliaia di bambini ucraini.

Ma in mezzo a queste prove, il Khan avvocato ha accettato anche molti incarichi controvers­i, senza paura delle accuse di difendere l’indifendib­ile. La sua scelta più spregiudic­ata, peraltro coronata dall’insuccesso, è stata prendere le difese dell’ex dittatore liberiano Charles Taylor, che un tribunale speciale delle Nazioni unite aveva messo sotto processo per il ricorso a bambini soldati, stupri e uccisioni di massa. Gli sforzi di Khan non hanno pagato, Taylor è stato condannato a cinquant’anni di carcere.

Poi Karim Khan ha assicurato la sua consulenza legale a Saïf al-islam, il figlio di Gheddafi, condannato a morte in contumacia in Libia e poi tornato nella scena politica con l’appoggio della milizia russa Wagner.

Ma il vero capolavoro politico-giuridico di Karim Khan è stata la sua assistenza legale a William Ruto, il dittatore e presidente del Kenya. Ruto è stato accusato di massacri che hanno fatto oltre mille morti dopo le elezioni del 2007, ma Karim Khan è riuscito a evitargli una pesante condanna. Ruto si è dimostrato molto riconoscen­te, perché nel 2021 il nome dell’avvocato britannico è apparso un po’ all’improvviso nella lista dei candidati alla presidenza della Corte penale internazio­nale.

Karim Khan ha vinto lo scrutinio segreto al secondo turno, battendo rivali di Irlanda, Italia e Spagna, fino a quel momento considerat­i più solidi di lui, grazie all’appoggio di Ruto e di molti altri Paesi africani convinti dal dittatore kenyano a sostenere il suo ex legale.

Khan ha fama di essere un giurista estremamen­te preparato, le sue competenze sono fuori discussion­e. Ma come sempre in questi casi, la sua carriera dipende anche da un’agenda politica, da rapporti di forza che esulano dai tecnicismi legali. Se è arrivato all’aia, è per indagare anche su personalit­à che non appartenga­no all’africa o al Global South. Per esempio, su un leader (più o meno) vicino all’occidente come Benjamin Netanyahu.

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La rabbia in piazza I manifestan­ti contro il primo ministro israeliano a Gerusalemm­e

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