Sogni di giovinezza nella mia Parthenope
Sorrentino e la saga di una ragazza alla ricerca della libertà: «Nel film un’adolescenza non vissuta. E il mistero delle donne»
Cannes 2024 L’italia in gara con un cast di celebrità, da Gary Oldman a Stefania Sandrelli L’esordiente Celeste Dalla Porta è la protagonista
Paolo Sorrentino nell’eloquio, immaginifico come i suoi film, si trincera dietro il sigaro. Quando il fumo si alza e si dirada, come il vento che per Fellini si fece marca stilistica, e che appare tale e quale nella scabrosa scena sessuale in chiesa, sembra stagliarsi, gigantesco, il numero 7: nel mondo dei simboli è quello «perfetto e magico», 7 come i re e i colli di Roma (mettiamoci anche i nani di Walt Disney).
Nella 77ª edizione del festival, Sorrentino con la sua epica dei sentimenti via via più sofisticata è per la settima volta in gara con Parthenope.
Le celebrità, Silvio Orlando,
Luisa Ranieri, Stefania Sandrelli, Isabella Ferrari, Gary Oldman nel ruolo dello scrittore John Cheever che non si staccava mai dalla bottiglia, sono il coro. Al centro l’ancora sconosciuta Celeste Dalla Porta. Nella prima immagine esce come una sirena dall’acqua e dà il nome al film, come una vestale, mentre il suo primo amore bacia un crocifisso.
Napoli è il paesaggio di un involucro che raccoglie tutta la Commedia umana: malinconia, solitudine, desiderio, nella giovinezza che passa e se ne va. E dunque l’inganno e la terribilità della bellezza.
È un film sul rimpianto?
«C’è in altri miei film, qui no, anche se ho messo la mia giovinezza mancata, sognata più che vissuta. Qui c’è il passaggio dell’età. La caratteristica principale della gioventù è che la verità non ne fa parte, e se si presenta è un incidente di percorso rimosso. Da giovani si è spaesati, ci si abbandona, si fanno discorsi epici di sé, si balla da soli. Questo racconto si interrompe quando si passa, come diceva Kiergegaard, dalla vita estetica alla vita etica, quando cioè si è responsabili e si diventa quello che siamo e non ci piace.
L’unica possibilità resta quella di stupirsi, come accade qui, dove seguiamo una ragazza che cerca la libertà ma scelte sbagliate la portano alla solitudine, il suo incanto per il mondo, laddove nella Grande bellezza accadeva il contrario, quello è uno sguardo disincantato del mondo».
La trama è inafferrabile.
«Il mio maestro, Antonio Capuano, diceva che scrivere i dialoghi è come suonare il piano a orecchio: o lo sai suonare oppure no. O hai il talento di scrivere oppure no. Questo film nasce dal desiderio di misurarmi con due misteri: Napoli e le donne. Per un lungo tratto si sovrappongono».
Ha scommesso su un’attrice sconosciuta di 26 anni.
«Lei, milanese, ha un’attitudine agli accenti. E ha la capacità di interpretare una 18 enne come una 35 enne, senza ricorrere ad artifici laboriosi. Possiede una sorta di dolore imperscrutabile che aveva Stefania Sandrelli in Io la conoscevo bene di Pietrangeli».
Per la prima volta pone una donna al centro.
«Il ruolo di Parthenope, aspirante attrice che, da adulta col volto di Sandrelli diventa docente universitaria, l’ho definito in corso d’opera. A Celeste ho detto tutto e il contrario di tutto. Ho provato a capire chi fosse, dato che era l’unica che non conoscevo. Raccontare una donna non è compito di un uomo. Mi interessava unire il mio lato femminile a un personaggio femminile sul tema dello scorrere del tempo. Parthenope vuole fare l’attrice, i personaggi di Isabella (la diva dimenticata
In concorso sto bene da solo Sono contento ed emozionato, in questo festival sono esploso, senza Cannes non avrei fatto tutto quello che ho fatto
che parla sotto una maschera,) e di Luisa (che critica i cliché di cui Napoli è vittima, e non fa Sophia Loren come potrebbe sembrare), lo sono anche. Loro due spiegano cosa vuol dire vivere con quella cosa informe che è il successo».
Il professore che tipo è?
«Ci riporta alla realtà, laddove tutto il resto tende a esondare il ruolo di Silvio Orlando, una figura paterna, è quello narrativo. Con lui, Parthenope scopre il dolore. Il dolore e la seduzione sono forme di comunicazione veloce, rappresentano la capacità di saltare le forme, l’apparato insopportabile che mettiamo in atto tutti i giorni per dirci qualcosa di interessante».
Lei, unico italiano in gara.
«Io sto bene da solo. Sono contento e emozionato, a
Cannes sono esploso, senza Cannes non avrei fatto tutti i film che ho fatto».
E Napoli?
«È una città libera, pericolosa, non giudica mai, indefinita, misteriosa. Come Parthenope. Gli studiosi dicono meglio di me come vi si fondano sacro e profano. Racconto una realtà universale, non ho fatto il film solo per i napoletani. Quando ho cominciato a farli, pensavo che il primo sarebbe stato anche l’ultimo. È un sentimento che continua tutte le volte».
Tornerebbe a vivere a Napoli?
Pausa sigaro, lo assapora, lo avvicina alle labbra, annusa la vischiosità della domanda e dice: «Io vivo dove dice mia moglie».