Metamorfosi sorprendente di Chiara Mastroianni nei panni di papà Marcello
Quando, durante un casting, le viene chiesto di essere «meno Deneuve e più Mastroianni», a Chiara Mastroianni scatta qualcosa che la porta a rinnegare se stessa e ad assumere gli abiti e le pose del padre, a cominciare dal nome («chiamami Marcello» dice a tutti). E Marcello mio di Christophe Honoré, che all’inizio sembrava un film sul lavoro della recitazione diventa qualcosa d’altro, più sfuggente ma anche più intrigante. Perché a interagire con Chiara, sorprendente nella sua trasformazione maschile, ci sono la madre Catherine Deneuve e poi Fabrice Luchini, Benjamin Biolay e Melvil Poupaud, tutti nei panni di loro stessi. Si innesca così una mise en abyme continuamente rimessa in gioco (geniale Luchini quando se la prende con lo spirito troppo «cartesiano» di chi vuole razionalizzare ogni cosa) dove non capisci bene fin dove tutti si divertono a giocare con il loro ruolo e dove interpretano una specie di proprio avatar. È questa ambiguità (fatta di tante piccole citazioni cinefile) a fare l’interesse del film, che cade quando Chiara/marcello viene invitato a Roma per una sguaiata trasmissione tv e lei non può fare a meno di entrare nella Fontana di Trevi con gattino bianco che guarda. Come a dire che un
conto è l’omaggio che vuole essere riflessione, un conto è l’imitazione. Il film di Sean Baker Anora è invece una simpatica commedia scritta dallo stesso regista che fa incontrare il figlio ventenne di un oligarca russo, Vanya (Mark Eydelshteyn), con una lap-dancer a pagamento, Anora detta Ani (Mikey Madison). Lei annusa il pollo da spennare e lui finisce per portarla a Las Vegas e sposarla. Scatenando l’ira dei genitori del ragazzo che incaricano tre scagnozzi pasticcioni per convincerli al divorzio. Abituati alle maniere forti i tre si trovano di fronte una giovane decisa a conservare i privilegi che si è conquistata ma si fanno scappare il marito russo, iniziando così una ricerca per la New York notturna che si porta dietro momenti di divertimento surreale. Niente di trascendentale, ma in un festival che finora sembra essersi consacrato ai momenti cupi dell’esistenza (se non alla noia), il ritratto di una mamma-padrona che pensa di comandare tutti a bacchetta (Darya Ekmasova) o di un energumeno col cuore d’oro (Yura Borisov) strappa qualche sorriso.