Il terrore e il sangue Il video delle soldate rapite dai terroristi
I genitori: «Il governo deve fare qualcosa»
GERUSALEMME «Non volete più dormire?». Come da 229 notti restano insonni le notti dei padri e delle madri che quel video si sono forzati a vederlo, invece di voltarsi dall’altra parte e andarsene per poter chiudere gli occhi sul cuscino. Il premier Benjamin Netanyahu ha deciso in marzo di non mostrare ufficialmente il filmato ai ministri durante le discussioni sull’intesa per il rilascio degli ultimi ostaggi, li ha lasciati liberi di scegliere: Bezalel Smotrich, oltranzista e messianico, ha scelto di poter addormentarsi bene.
Così i famigliari delle ragazze rapite nella base israeliana di Nahal Oz hanno diffuso una versione editata, 3 minuti e 9 secondi sugli oltre tredici di orrore. Perché ieri sera il governo tornava a riunirsi per valutare le possibilità di un accordo e come dice Eli Albag, il padre di una di loro: «Se queste immagini non risvegliano la nazione, se non smuovono i ministri, è la nostra ultima possibilità. Che cos’altro possiamo urlare, che cos’altro possiamo tentare?».
La figlia Liri è stata portata via assieme a Daniella Gilboa, Naama Levy, Agam Berger, Karina Aiev, tutte tra i 18 e i 19 anni. Racconta che la maggior parte delle mamme non è riuscita a guardare il video ripreso dagli stessi terroristi: le ragazze sono ancora in pigiama, allineate lungo i blocchi di cemento dai paramilitari entrati all’alba nella postazione delle osservatrici a pochi metri da Gaza, sanguinano dal volto, attorno a loro — queste scene sono state tagliate — ci sono i cadaveri di 11 compagne uccise e quello di un soldato, i mi
litari ammazzati qui sono stati 54. I fondamentalisti urlano «vi schiacceremo», nella sequenza si inginocchiano a pregare quando arriva l’ora.
Liri prova a chiedere se «qualcuno parla inglese», Naama tenta di spiegare «ho amici in Palestina», un uomo in mimetica — seduto con il kalashnikov sulle gambe — qualche minuto dopo le dice «sei bella». A febbraio i parenti di Agam Berger erano stati sentiti da una commissione parlamentare e già allora avevano gridato «non c’è più tempo, potrebbe essere incinta», le donne rilasciate alla fine di novembre dello scorso anno hanno raccontato delle violenze sessuali subite nelle celle a Gaza. A Nahal Oz davanti ai monitor c’erano e ci sono solo ragazze, anche se nessun ordine dello stato maggiore l’ha deciso. Capaci di memorizzare ogni dettaglio, ogni piccolo cambiamento nella routine degli spostamenti dall’altra parte.
Per mesi prima del 7 ottobre dalla base sono stati inviati avvertimenti su strani pattugliamenti dei jihadisti, di prove — è possibile capirlo ora — per individuare i punti dove squarciare la recinzione e invadere il Sud del Paese. Gli ufficiali non le hanno ascoltate.