«Io e il fantasma di papà Marcello»
Chiara Mastroianni: sul set sono stata invasa dallo spirito di mio padre, non l’ho imitato
«Non è un’imitazione, piuttosto un’evocazione. Mi sono lasciata invadere da mio padre, possedere da un fantasma ma in modo felice. Il regista mi ha regalato la possibilità di ritrovare delle sensazioni conosciute e farle ritrovare allo spettatore. È un film molto proustiano. Chiunque abbia perso una persona cara si dice: se tornasse, se potessi ancora parlargli... Chi non si è tenuto la vecchia giacca di qualcuno, un anello, un oggetto? Come se potesse ancora esistere attraverso quei piccoli dettagli». Più una seduta di spiritismo che di psicoanalisi: mette le mani avanti, sorridente e rilassata Chiara Mastroianni il giorno dopo la proiezione in concorso di Marcello mio. Pronta a prendere in giro il suo regista e amico Honoré (sono alla settima collaborazione): «Dice che capisce l’italiano ma non è vero. Non ne può più di noi». Scherza con la madre Catherine Deneuve, con cui ha condiviso l’avventura del film (in sala da oggi con Lucky Red).
Se è stato una sorta di esorcismo, si vede che per lei ha funzionato. «Mi ha divertito l’audacia del progetto. Non siamo in un biopic. È un’opera di fantasia. Come si fa a incarnare un fantasma? Per fortuna che c’è Honoré, è tutto uscito dalla sua capoccia e io mi sono fidata. Il film dà la sensazione del privato ma per noi è finzione totale».
Il film comincia sulle note di Mi sono innamorato di te di Tenco inizia con Chiara vestita da Anita Ekberg, cascata di boccoli dorati, abito nero e galoche, alle prese con le bizze di una regista per uno spot nella fontana di Saint-sulpice. La mattina dopo, vede nello specchio il suo viso che si mescola a quello del padre. (Nella realtà Mastroianni, di cui in settembre ricorre il centenario della nascita, è morto quando lei aveva 24 anni, nel 1996). «Ho la testa di papà» dice alla madre che le è piombata in casa. «Non hai niente di me, sei tutta Mastroianni» rilancia Catherine. Arriva sul set del film che sta girando per Nicole Garcia con Fabrice Luchini e la regista le fa le pulci: «Speravo recitassi più Mastroianni che Deneuve, più Marcello che Catherine». Da quel momento, Chiara diventa Marcello, vuole farsi chiamare da tutti così. Abbandona la sua vita e si cala in quella di lui («Mi piace sparire», forse una delle battute più sincere del film) in un viaggio che da Parigi arriva a toccare l’italia, Formia e Roma, Fontana di Trevi compresa.
Con il gioco delle somiglianze, dice, ha fatto i conti da tempo. «Succede in tutte le famiglie, assomiglia più a un genitore o all’altro». A lei un po’ di più. «Da giovane forse mi ha pesato, volevo smarcarmi, poi ho capito che sarebbe stato così per tuta la vita. Ho trovato una mia tranquillità, ci ho fatto pace. Vabbé, mi sono detta: abbozza. Anzi, è un modo di rispondere senza parlare di me. Cosa che non amo e non so fare».
L’eredità di cui va fiera, da parte di entrambi, è il senso dell’umorismo. «Se non si ride siamo fritti. Il film è pieno di autoironia. Non c’è nulla di distante, freddo, tanto più nel raccontare mio padre che era così vicino alle persone. Nemmeno compiacimento. È un omaggio al mestiere di attore, alla loro capacità di reinventarsi». Nel suo caso anche come cantante con una cover di Una storia importante di Eros Ramazzotti a un concerto del suo ex (nella realtà) Benjamin Biolay. «Con il pubblico vero, ho avuto paura ma cantare è la cosa più bella».
Mi ha divertito l’audacia del progetto Non è una classica biografia È un’opera di fantasia