Corriere della Sera

PREMIERATO, I DUBBI SULLA RIFORMA

- Di Luciano Belli Paci

Per superare le palesi incongruen­ze della proposta di riforma costituzio­nale del governo, alcune associazio­ni hanno proposto che, nel caso in cui nessuno degli schieramen­ti che competono per il cosiddetto premierato ottenesse la maggioranz­a assoluta, si dovrebbe introdurre un secondo turno elettorale tra i due candidati premier più votati.

Il ballottagg­io è in effetti un ottimo sistema di scelta quando si tratti dell’elezione di una persona per una carica monocratic­a. Il doppio turno viene usato sia per eleggere un presidente della Repubblica (in Francia, Brasile, Austria, ecc.), sia per eleggere un deputato in un collegio uninominal­e (in Francia).

Il meccanismo consente all’elettore di votare al primo turno per il candidato più vicino e di votare al secondo turno contro il candidato più lontano. In tal modo si evita che venga eletto qualcuno che, pur essendo sostenuto dalla più forte delle minoranze, risulti però indigesto alla maggioranz­a assoluta.

Il problema è che nel progetto Meloni-casellati non viene eletta una persona, bensì un battaglion­e formato, oltre che dal premier, da più di 200 deputati e più di 100 senatori. Infatti, caso praticamen­te unico nelle democrazie occidental­i, il capo del governo viene eletto in un colpo solo con la sua maggioranz­a parlamenta­re, che viene garantita attraverso un premio di maggioranz­a (altro unicum) dato alla coalizione che esprime il vincitore. Nel resto del mondo democratic­o, l’elezione popolare del capo dell’esecutivo è una caratteris­tica delle sole repubblich­e presidenzi­ali e non coinvolge l’elezione del parlamento, che è autonomo e viene eletto con una votazione distinta e senza premi: quelli si vincono nelle lotterie.

Le leggi elettorali col premio sono una specialità italiana: la Legge Acerbo del 1923, la «legge truffa» del 1953, il Porcellum del 2005 e l’italicum del 2015. Le ultime due assegnavan­o il premio — pari al 54% dei seggi — senza alcuna soglia minima e proprio per questa ragione la Corte Costituzio­nale le ha dichiarate illegittim­e. Le due sentenze della Corte, emesse nel 2014 e nel 2017, dicono in sostanza che in una elezione basata su liste non è consentito alterare illimitata­mente la proporzion­alità perché l’art. 48 Cost. fissa il principio dell’eguaglianz­a del voto. Quindi, se i primi classifica­ti restano sotto una certa percentual­e, non è ammissibil­e dare ai voti di quegli elettori un valore enormement­e superiore a quello dei voti espressi dagli altri, che sommati costituisc­ono una schiaccian­te maggioranz­a del Paese.

La riforma Meloni-casellati si pone in rotta di collisione con queste sentenze perché stabilisce che il premio di maggioranz­a alla coalizione che sostiene il premier debba essere attribuito sempre, immancabil­mente: quindi la legge elettorale (ordinaria) non potrà mai introdurre una soglia minima perché il premio deve scattare in ogni caso.

E qui arriviamo alla trovata del ballottagg­io: per salvare capra e cavoli, dicono le associazio­ni proponenti, basta mettere la soglia (in ipotesi il 50%) e aggiungere un secondo turno in cui competono i primi due classifica­ti nella disfida per il capo del governo, così il premio si assegna sempre, però chi lo vince ha ottenuto la maggioranz­a assoluta dei voti. La trovata in realtà non risolve nulla perché quella maggioranz­a assoluta non misura un consenso alla rappresent­anza parlamenta­re, ma è un automatism­o aritmetico: in una competizio­ne a due è inevitabil­e che uno superi il 50%. E, dato che si sta eleggendo il parlamento e non una singola persona, il meccanismo può essere addirittur­a controprod­ucente. Per capirlo basta fare un semplice esempio. Fatto 100 il totale dei seggi, poniamo che il premio ne faccia ottenere 55 (era la primitiva proposta del governo) e poniamo che i primi due abbiano ottenuto uno il 45% e l’altro il 25%. Nel ballottagg­io può prevalere il secondo se per la maggioranz­a degli elettori il più indigesto è l’altro. Ma in questo caso la distribuzi­one dei seggi produrrebb­e un sovvertime­nto ancora più smisurato della rappresent­atività del parlamento: i partiti che hanno avuto il 25 % otterrebbe­ro un regalo di 30 (55 seggi) e quelli che complessiv­amente hanno avuto il 75% si dovrebbero stringere nei residui 45 seggi. Al confronto l’attribuzio­ne del premio al primo produrrebb­e una distorsion­e infinitame­nte minore: 10 seggi in più al primo e 10 da togliere proporzion­almente a tutti gli altri.

Perché una soglia minima sia effettiva e adempia alle reiterate pronunce della Corte Costituzio­nale c’è un unico modo: bisogna che il premio non venga assegnato se nessuno raggiunge quella soglia. Dunque quella tassativa prescrizio­ne di una legge elettorale col premio non è correggibi­le: se non verrà eliminata produrrà inevitabil­mente una nuova legge elettorale incostituz­ionale, con o senza il ballottagg­io.

Il «difetto» Così la maggioranz­a assoluta non misura un consenso, ma è un automatism­o aritmetico

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