Il veterano di Cannes
Il regista per la quindicesima volta al Festival: «Ma qui ho vinto solo la Palma alla carriera» Bellocchio: «Serie su Tortora, vado avanti Bertolucci? Ero il suo eterno secondo Facevo analisi collettiva, con me Benigni»
Marco Bellocchio, cosparso di saggia leggerezza e soave determinazione, dice che a 84 anni (che si fatica a dargli) pensa «solo al presente». Parla del restauro di Sbatti un mostro in prima pagina, che la Cineteca di Bologna offre in versione restaurata a Cannes. E fa un paragone con la serie tv su Enzo Tortora che si appresta a girare.
Storie simili perché?
«Perché sono due casi di ingiustizia. Il film (1972) è sull’utilizzo del mostro secondo la logica giornalistica dello scandalo, con Volonté protagonista nella manipolazione politica di un fatto, ricalcato su quello di Valpreda per la strage di piazza Fontana, allo scopo di orientare l’opinione pubblica in vista delle elezioni. E Tortora subisce una grande ingiustizia, processato, condannato, completamente assolto nel secondo processo. Ma ci morì. Era un lottatore. Non ne farò un santino, scaverò dentro di lui, in una serie perché un film non può contenerlo».
Nel film, tra immagini d’epoca, c’è Ignazio La Russa a un comizio del Msi. Vederlo presidente del Senato?
«Ma sai, alcuni terroristi finiscono per fare i pompieri e certi garibaldini diventarono reazionari. Lui si volle già allora sdoganarsi dall’accusa di fascismo, in qualche modo respinge quel passato, malgrado le statuette del duce a casa. Non è che l’ha rimosso, è una nostalgia, non vedo il rischio di sovvertire le istituzioni. Lo dice uno che da giovane apparteneva a certa sinistra radicale ma non più militante, dove il Pci era revisionista e il Psi peggio ancora».
Lei da anni ha una freschezza straordinaria, una volta era l’eterno secondo.
«...Dopo Bertolucci. La rivalità nacque quando lui spiccò il volo verso l’america con Ultimo tango a Parigi. Io potevo invidiare la sua celebrità, però sono fedele alle cose che mi piacciono. Se lo avessi scimmiottato, come alcuni colleghi, avrei sbagliato clamorosamente. Io invece ho fatto delle avventure non capite, che mi hanno allontanato dalla carriera, tipo la psichiatria collettiva di Fagioli legata al tema della guarigione. Tutto ciò mi è tornato indietro, dandomi energie nuove».
Poi si allontanò dalla...
«...dalla psicoanalisi. Sentivo la necessità di parlare di me stesso con qualcuno, e andai prima in analisi individuale poi mi inserii in un seminario di analisi collettiva, in cui mi trovai con Benigni, Zavattini e Cerami. Si cercavano risposte a dei propri problemi, io raccontavo anche dei sogni. Massimo Fagioli parlava di malattie mentali e guarigioni in termini affascinanti. Così rompendo le regole del rapporto tra terapeuti e pazienti presi il rischio di chiedergli sul set una mano per Diavolo in corpo. Girai altri due film fagioliani, in tanti mi compatirono, dissero che era un errore e mi sarei rovinato. Poi ci fu una mia lenta separazione, ripresi i miei temi».
Dall’america mai tentato?
«Harvey Keitel mi chiese di dirigerlo nel Mercante di Venezia di Shakespeare, credendo di portare finanziatori che invece non c’erano. La cosa si smontò da sola. Io ho bisogno di un tempo lungo, per fare il filmino sui miei familiari ci ho messo cinque anni».
«I pugni in tasca»: dopo 60 anni fanno un remake del suo esordio, con Kirsten Stewart e Josh O’connor.
«Il regista Ainouz è brasiliano. Spero faccia una cosa del tutto nuova. Lo leggerò prima. Quel mio film venne rifiutato a Venezia, all’epoca i vertici avevano molto potere, il direttore Chiarini voleva premiare Visconti e io confliggevo per il tema dell’incesto e della famiglia malata». Lei, il veterano di Cannes. «Ci sono stato 15 volte, senza vincere mai nulla se non la Palma onoraria alla carriera. Con Salto nel vuoto non vinsi io ma i miei due attori, Aimée e Piccoli, grazie a un critico considerato di destra in giuria come Rondi. Pensavo di meritarlo per Vincere, Il traditore e Rapito. C’è una polarizzazione con Venezia e i distributori come prima parola dicono Cannes, che accoglie registi che si preparano per venire sempre qui e ottengono privilegi che io non ho mai avuto. Se c’è una qualità che mi riconosco è che non sono un nostalgico. Rimpianti? Forse di non aver fatto un film su Maria José, regina per un mese, ribelle e ubbidiente, fece un matrimonio combinato. Pietro Nenni prima del referendum urlò: volete votare per un re che è pederasta? Altri tempi, oggi ci sono le fake news, chiunque si sfoga e dice cose orribili non dimostrate, e tutto ciò arriva impunemente».
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Rimpianti
Avrei voluto fare un film su Maria José: fece nozze combinate, fu regina un po’ ribelle per un mese