Il fotogiornalismo di Cartier-bresson: viaggi e immagini
«Si viaggia per fotografare, non per vedere». Il 27 maggio alle ore 19.20 su Rai 5, va in onda il documentario-intervista sul grande fotografo francese Henri Cartier-bresson, a vent’anni dalla sua scomparsa. Un eccezionale ritrovamento delle Teche Rai, con i testi di Giorgio Bocca e la regia di Nelo Risi, che risale al 1964, in cui l’uomo che ha rivoluzionato il mondo dell’immagine si concede alle domande del critico d’arte e storico della fotografia Romeo Martinez. Un dialogo singolare, perché l’intervistato non mostra il volto alla macchina da presa dell’intervistatore. «La sua è una forma di narcisismo?», gli chiede Martinez. Ribatte Cartier-bresson: «Voglio restare in ombra. Il lavoro di cui mi occupo, mi costringe a conservare l’anonimato. È un mestiere che si esercita a brucia pelo, prendendo la gente alla sprovvista». Nato nel 1908 vicino Parigi, è considerato un pioniere del fotogiornalismo, un maestro del simbolismo umanista. Afferma Cartierbresson: «La fotografia sta alla pittura, come le impronte digitali a un ritratto. È cuore, testa, intelligenza». Lo incalza Martinez: «Le persone da lei fotografate, sembra che non la vedano né prima, né dopo lo scatto. Come fa a essere così presente e al tempo stesso anonimo?». Risponde: «La fotografia è un furto fra complici, la macchina fotografica è un occhio calamita, ma no alle foto choc e scandalo. Il fotografo non violenta». Si ripercorre la carriera di Cartier-bresson, che però puntualizza: «Non è una carriera, ma un piacere: cogliere la vita con gioia e immediatezza». Osserva il vicedirettore di Rai Cultura Piero Corsini: «Oggi si abusa del termine iconico, ma è molto appropriato agli scatti di Bresson che ha ridisegnato l’idea del fotografo, facendogli fare un salto di qualità in avanti». E solo al termine dell’intervista, il grande Cartierbresson mostra finalmente la faccia.