George Lucas: «Star Wars», una rivoluzione a Hollywood
George Lucas sembra un nonno tenero e affettuoso. Al festival lo festeggiano con la Palma d’oro alla carriera. Ha 80 anni tondi, i capelli bianchi folti come se ne avesse 20. Sbuca da una tenda, bisogna parlare piano perché qui accanto, al Palais, è tutto un via vai di interviste alle star (monitorate da grappoli di assistenti), e sono talmente tante che se ti passa accanto Wim Wenders, per dire, a malapena hai tempo di fargli ciao con la mano. Il «papà» di Star Wars, che ha cambiato il cinema, dalla vita ha avuto fama e ricchezza. Si vuole godere la vecchiaia e vorrebbe parlare solo dei suoi quattro figli, specie l’ultima, di dieci anni. Poi, un po’ a malincuore parla di sé :«Però vi avviso, come regista mi sono ritirato dieci anni fa». Ha rifondato Hollywood: «Eravamo io, Coppola che per me è un fratello e mi insegnò come si scrive un film, Schrader, Spielberg. Avevamo le nostre idee: non volevamo fare soldi ma fare cinema. Eravamo pronti a rischiare, e in cerca di libertà creativa. Il fenomeno Easy Rider ci ha tirato la volata». Più che un uomo di cinema è un brand. «Ho venduto la mia società, Lucasfilm. E a Los Angeles, da cinque anni stanno costruendo un museo su tutte le informazioni di narrazione visiva. Sarà aperto nel maggio 2026».
«Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana…». Vi dice qualcosa? Lucas ha fatto della propria vita un effetto speciale. La sua immaginazione si nutre di sogni, come accadeva per Fellini? «Una volta a Cannes ero seduto accanto a lui. Io la notte non sogno, mi càpita solo sotto la doccia. Diciamo che ho realizzato i miei sogni, essendo nato in una sonnolenta cittadina californiana chiamata Modesto». Nome lontano dalle sue immaginifiche galassie: «C’erano solo due cinema che proiettavano B movies». Racconta della sua vita, di lui, il regista che guarda al futuro, figlio del proprietario di un emporio, che andò a studiare antropologia, fino alla passione per il cinema. «Fui sorpreso quando, nel 1971, fui invitato qui per il mio primo film, L’uomo che fuggì dal futuro. Oggi sono molto onorato. Nei miei film ho raccontato il bisogno dell’amicizia». Sulla tecnologia, cosa pensa dell’intelligenza Artificiale? «Ragazzi, quello è il futuro. Sarà più facile fare film».