Il signore delle supercar «Vendo Ferrari e Rolls ma continuo a correre»
Giorgio Schön: «La mia vita al volante»
Vende Ferrari, Maserati e Rolls-royce, ma tutti i giorni guida un’alfa Romeo Giulietta con 300 mila chilometri. Giorgio Schön — 78 anni, ex Ceo del marchio di moda Schön fondato dalla madre nel 1958 e creatore di Rossocorsa, tra i maggiori concessionari europei del Cavallino — è il prototipo del gentleman driver. Incontrarlo nel suo studio di Milano circondato da trofei e memorabilia di quasi 60 anni di corse vestito con l’immancabile giacca blu, regala il fascino dell’imprenditore-pilota che ha girato il mondo pur conservando il buon gusto tipico italiano.
Avete appena aperto un concessionario Rolls-royce, ma come si vendono auto del genere?
«Per capire a fondo una Rolls-royce bisogna andare a Goodwood, dove questi gioielli vengono costruiti con l’artigianalità di un atelier.
Noi portiamo con un jet privato i potenziali clienti in fabbrica e gli mostriamo il livello di qualità di questi modelli: ho visto con i miei occhi stirare la pelle dei poggiatesta a mano perché c’era una piega non conforme. Mi ha ricordato le sarte della nostra azienda di moda prima di una sfilata».
Com’è nata la sua passione per le auto?
«Mio padre correva in macchina e quando ero bambino abitavamo in corso Sempione a Milano nella casa di Ascari. Le nostre famiglie erano molto legate e nel weekend andavo a Cortina con Alberto Ascari al volante: un’esperienza che ricordo ancora. Appena maggiorenne ho deciso con un amico di risparmiare mille lire alla settimana e comprarci un’auto per correre nei rally. Acquistammo una Mini, la prima gara? Il rally di Montecarlo del 1968. Un sogno».
Nel frattempo ha vinto
quattro campionati italiani, partecipato a nove Targa Florio e corso a Le Mans. Gareggia ancora?
«Si, ma non con le vetture moderne. Partecipo a rally storici che sono altrettanto impegnativi. Il mio preferito è quello di Montecarlo (l’anno scorso è arrivato secondo, ndr), dove si respira ancora il fascino delle gare di una volta, quando correvamo con il Loden e la dolce vita. Forse oggi si è perso un po’ di quel pathos legato a benzina, meccanica e velocità».
Perché l’auto ai giovani interessa sempre meno?
«Oggi è tutto più complicato. Un tempo ci si innamorava delle auto riparandole, magari comprando un modello di seconda mano e attrezzandolo per correre in maniera amatoriale. Oggi ci vogliono troppi soldi per partecipare alle gare, preparare una vettura per le corse. I ragazzi si allontanano da queste cose perché non le vivono: l’auto è percepita come un ostacolo, non si sa dove parcheggiarla, mantenerla è oneroso e tutti sono concentrati solo sul digitale».
Ha fatto due volte la Pechino-parigi, momenti indimenticabili?
«Potrei dirle un ascesso ai denti in una città sperduta della Cina o i calcoli renali del mio compagno di viaggio: tutto risolto. Quando si torna da esperienze simili ciò che rimane è la sensazione di libertà provata. Guidare in Mongolia per migliaia di chilometri nel deserto del Gobi, sentire il profumo dell’aria, guardare i colori che cambiano nelle ore della giornata sono ricordi indelebili. Voglio rifarla il prossimo anno, sempre con la Ferrari 308 GT4 degli Anni 70: tutti credevano ci avrebbe lasciato dopo pochi chilometri, invece ne abbiamo fatti 15 mila».
Torniamo al presente, le supercar elettriche avranno successo?
«Credo nell’elettrico per il trasporto pubblico, per le citycar, ma non penso che le supercar a batteria potranno avere successo. Forse sono vecchio stile, ma credo che una delle emozioni più forti sia ascoltarne il su0no del motore. L’elettrico questo non lo può offrire e i tentativi di riproduzione del canto di un V12 sono inefficaci».
Con tutte le Ferrari che ha perché guida una Giulietta?
«Si parcheggia facilmente, è divertente e non dà nell’occhio. Ora ha 300 mila chilometri e la devo cambiare. Posso farle una confessione? Sono confuso, neanche io so che auto nuova scegliere».
Credo nell’auto elettrica per il trasporto pubblico, oppure per la città, ma non penso che le supercar a batteria potranno avere mai successo