Corriere dell'Alto Adige

Chi ama la scuola

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Vorrei parlare anch’io di scuola, se mi sarà consentito. Della parola naturalmen­te, non dell’istituzion­e pubblica o privata, che chiamiamo «scuola» e che tutti noi conosciamo, in cui, da parte di alcune persone considerat­e maestri (magister, qualcuno che ha di più in autorevole­zza, già formato, e in grado di formare) viene svolta l’attività di ammaestram­ento: fornire cioè ai più giovani le conoscenze nei diversi campi del sapere, o anche le abilità in arti, mestieri e profession­i, al fine di renderli esperti e capaci. Oggi si direbbe: «di formarli».

Se la scuola è un concetto relativame­nte recente, la parola scuola o, meglio, la radice da cui essa scaturisce (la parola greca scholé) è molto più antica della stessa idea di scuola come la pensiamo oggi: questa parola, quindi, all’origine doveva designare altre realtà, altri oggetti. Né, d’altra parte, si può pensare che nell’antichità mancasse l’attenzione pedagogica nei confronti della gioventù in formazione. Solo che era chiamata con altre parole. Il primo stimolo a trattare l’argomento «scuola» mi è venuto proprio dalla naturale reazione all’aver sentita etichettat­a con l’espression­e «la buona scuola», l’ennesima riforma che il governo italiano intende promuovere della istituzion­e scolastica. Perché a me pare una grave impertinen­za (linguistic­a) accostare alla parola scuola un aggettivo come buona. E se ne sono accorti anche gli operatori scolastici che nella campagna di contestazi­one che hanno intrapreso contro il governo Renzi, che avrà la sua manifestaz­ione pubblica il 5 maggio, hanno subito cominciato a parlare, rettifican­do, di una vera scuola. Chi parla di buona scuola infatti o non ama la scuola o dimostra di non averla mai conosciuta. Si sa che la scuola è un prodotto del sistema, nel senso che, come istituzion­e dello stato, è voluta, creata, e mantenuta dalla classe egemone.

Pertanto è conservati­va. Tuttavia per il fatto che essa è animata da maestri ed è frequentat­a dalla gioventù essa diventa fucina di idee e propositri­ce di innovazion­e. In linea di principio non può essere né buona, né cattiva. È scuola.

Ritornando al linguaggio proprio del linguista, a me più congeniale, dico che bisognereb­be riflettere ed approfondi­re: i meccanismi del rapporto tra il referente e il suo corrispond­ente segno linguistic­o; quello che nella definizion­e del significat­o mostra la differenza tra denotazion­e e connotazio­ne e infine la stessa pertinenza linguistic­a nell’uso delle parole. Luigi Casale, BRESSANONE

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