Carispa, la rabbia dei piccoli azionisti
Aumento di capitale: molti astenuti e contrari in assemblea. La Fondazione versa 120 milioni
BOLZANO La voce dei 24.000 piccoli azionisti della Cassa di risparmio, che detengono il 33,82% della banca, si è sentita forte e chiara, ieri pomeriggio, nell’assemblea convocata per approvare il bilancio e conferire la delega al cda sull’aumento di capitale da 270 milioni da concretizzare a luglio o a settembre.
L’astensione o il voto contrario di un centinaio di piccoli azionisti su oltre 700 presenti in sala, fatto senza precedenti in 160 anni di storia della banca, ha colto di sorpresa il cda. Il sofferto sì è arrivato dopo 5 ore con il voto blindato della Fondazione, che controlla il 66,02%. Scossi dalla delibera di giovedì scorso, con cui il cda ha svalutato il valore dell’azione a 125 euro (fino a dicembre il prezzo oscillava tra 240 e 260 euro) per effetto della perdita di 231,1 milioni di euro nel 2014, i «piccoli» hanno affollato l’Auditorium Haydn come mai in passato. In sala la rabbia era palpabile. A placare gli animi non è bastato l’annuncio dato dal presidente Gerhard Brandstätter, dal vice Carlo Costa e dal direttore generale Nicola Calabrò sull’autorizzazione, concessa proprio ieri dal Ministero delle Finanze alla Fondazione Carispa per anticipare subito alla banca 120 milioni dei 180 previsti per la quota parte di aumento di capitale, in modo da alzare i ratios patrimoniali.
Brandstätter ha messo da parte gli appunti e preso il microfono per parlare a braccio. «Parlo con il cuore dopo un anno difficilissimo — ha esordito —. Siamo partiti ad aprile 2014 promettendo impegno e chiarezza dopo il primo bilancio in perdita della nostra storia. Con Bankitalia abbiamo rivisto l’intero portafoglio. Abbiamo sostituto il direttore e ci siamo affidati al nuovo direttore Nicola Calabrò. Con il consulente McKinsey abbiamo approntato un piano di sviluppo quinquennale. Abbiamo ridotto i costi del 10%, stiamo riducendo il personale con i prepensionamenti senza causare drammi sociali. Ci concentriamo sul nostro territorio: Alto Adige e Trentino. Nelle zone di espansione faremo poco corporate e finanziamento alle imprese. Rimaniamo una banca regionale con 1379 dipendenti, 136 filiali e 200mila clienti».
L’ispezione di Bankitalia è stata dirompente: «Ci sono stati gravi errori strategici palesati solo nel 2013, investimenti immobiliari infelici partiti nel 2004 — ha detto il presidente — ma è anche vero che i tassi bassi e la congiuntura ci hanno danneggiato. Abbiamo dovuto accantonare enormi risorse e oggi ci presentiamo con 231 milioni di perdita. Ripartiamo da qui. Siamo la banca italiana con il maggior accantonamento sui rischi, pari al 61%. Di queste somme accantonate recupereremo parecchio. Torneremo alla redditività. Dal 2002 al 2013 abbiamo erogato 117 milioni di dividendi. Due anni bui non cancel- lano 158 anni di storia come».
«Le azioni svalutate? La perdita si concretizza solo se si vende — ha aggiunto Brandstätter—. Non siamo quotati in Borsa, creeremo un mercato secondario. Già da oggi, con l’acconto di aumento di capitale di 120 milioni della Fondazione, il valore dell’azione torna a salire».
Il vicepresidente Carlo Costa ha aggiunto: «Sarebbe stato più facile vendere la banca a colossi di sistema come Unicredit o Intesa Sanpaolo. Invece abbiamo creduto nel rilancio. Ci sarà rigore sul personale, mai più stipendi faraonici ai dirigenti».
La fase di votazione è stata molto lunga. Il cda, con una modifica statutaria, ha chiesto una delega quinquennale per un aumento di capitale fino a 350 milioni, chiarendo che con Bankitalia è stato concordato un aumento da 270 milioni. Le azioni vengono splittate passando da 4,05 milioni a 40,5 milioni (chi aveva un’azione, ne avrà 10). Alexander Pichler ha parlato a nome del Sindacato piccoli azionisti che rappresenta il 3% del capitale: «Siamo inascoltati da 13 anni sui problemi strutturali. L’espansione infelice ha messo in luce un sistema di controllo rischi inadeguato. Il legame di fiducia ora è minato. Chiediamo che la banca venga gestita da professionisti del settore, da inserire anche nel cda. La Fondazione, con la riforma nazionale, sarà obbligata a vendere a un partner strategico entro 5 anni. Che danno avremo noi piccoli? Invitiamo ad astenersi sull’aumento di capitale perché non conosciamo il piano strategico».
Tante domande poste da numerosi azionisti, molti hanno chiesto un modo per vendere le azioni e recuperare le somme investite. Sull’aumento di capitale si sono state 47 astensioni pe 42 voti contrari di piccoli azionisti. Gli altri punti delle modifiche statutarie sono stati approvati senza intoppi. Calabrò diventa anche amministratore delegato. In cda entrano Sieglinde Fink e Klaus Vanzi in sostituzione dei dimissionari Heinrich Dorfer e Andreas Sanoner. Poi la raffica di interventi critici sul bilancio, approvato intorno alle 22.