TRA MERCATO E COMPUTER
Il caldo scoppiato all’improvviso ha spazzato dalla testa con grande rapidità pensieri e riflessioni, lasciando posto alla voglia di vacanze o di una gita fuoriporta. Così ci siamo forse dimenticati di cosa hanno raccontato a inizio settimana i quotidiani, dipingendo un quadro contraddittorio.
Lunedì, dalle urne aperte in gran parte d’Italia, abbiamo avuto l’aspettata conferma di quanto già ci avevano appena detto le elezioni amministrative nella nostra regione e le precedenti consultazioni: il discredito della politica — spesso spinto ancor più da trasformismi, alleanze innaturali e mancanza di rinnovamento — rafforza l’astensionismo. Astensionismo dal voto, sia chiaro, perché è falsa la scusa addotta dal Palazzo secondo cui il fenomeno è figlio di una società poco impegnata: dai milanesi scesi in strada per ripulire le strade alle assemblee partecipate delle nostre realtà di volontariato, vediamo infatti che donne e uomini di ogni età e ceto sociale sono disposti a sacrificare il proprio tempo libero, purché vi sia una buona causa portata avanti con coerenza.
Mentre scorrevano i dati dell’esito degli scrutini, in altre pagine abbiamo poi letto di come il Festival dell’economia di Trento abbia posto la sua firma su quella che reputo una verità difficilmente contestabile: la disuguaglianza cresce praticamente ovunque e non è frutto del caso, bensì di precise scelte politiche (per inciso: tale è anche ignorare o sottovalutare il problema). L’idea che il mercato o il progresso tendano naturalmente ad ampliare il benessere, oltre a essere sbagliata, ribalta la realtà: solo regole e misure volte a favorire l’uguaglianza (di opportunità) possono evitare che proprio il mercato e il progresso rendano più «casta» chi li guida e più «plebe» chi li subisce. Se manager e azionisti possono aumentare le proprie smisurate ricchezze senza creare un autentico valore per l’insieme della comunità, o magari perfino adottando azioni che la impoveriscono, l’egoismo avrà il sopravvento. Ciò è ancor più vero per tutto quanto attiene la rivoluzione digitale: la tecnologia è sempre più sofisticata (talora pure subdola), più invasiva, più decisiva, dunque chi la padroneggia produce effetti, nel bene e nel male, che si dilatano con l’aumento del livello di impiego. Con un coltello si uccidono o si difendono poche persone, con una mitragliatrice i numeri ovviamente cambiano.
L’antipolitica, per quanto comprensibile, dunque non ci salverà. Ancor meno ci aiuterebbe l’illusione che basti rinchiudersi nel proprio orticello.