Il sofferto amore fra Carolina e Alex Schwazer
L’inchiesta giornalistica racconta la storia tra la pattinatrice gardenese e il marciatore nei guai per doping. Ecco il primo capitolo
di e «Lui e lei, una sera d’estate. «Alex das ist für dich. Das ist ein magisches Armband, welches dir in China Erfolg bringen wird.» «Danke Carolina. Ich werde es mitnehmen und an dich denken.» Amarsi in tedesco è come amarsi in qualsiasi altra lingua del mondo. Per Carolina e Alex è già tutto chiarissimo. Parole sussurrate nel loro idioma d’elezione». Inizia così «Per Amore» (Piemme), il libro a firma dei due cronisti del Corriere della sera, che sta per andare in libreria. Anticipiamo l’intero primo capitolo.
Lui e lei, una sera d’estate. «Alex das ist für dich. Das ist ein magisches Armband, welches dir in China Erfolg bringen wird.» «Danke Carolina. Ich werde es mitnehmen und an dich denken.» Amarsi in tedesco è come amarsi in qualsiasi altra lingua del mondo. Per Carolina e Alex è già tutto chiarissimo. Parole sussurrate nel loro idioma d’elezione. E un passaggio di consegne a sorpresa: un oggetto dorato passa dalla mano di lei al polso di lui, da portare in Cina per l’appuntamento della vita: l’Olimpiade. Pechino, Giochi della XXIX Olimpiade estiva. 22 agosto 2008. Sono le 7.30 di mattina di un venerdì che cambierà la traiettoria di molte esistenze. Sulla linea di partenza della 50 km olimpica di marcia, la maratona delle maratone, la prova che richiede il maggiore sforzo psicofisico tra le 302 competizioni in programma, c’è un ragazzo biondo, silenzioso e magro.
Ha 23 anni, viene da un paesino che persino con la lente d’ingrandimento è difficile individuare sul mappamondo: Calice-Racines, Alto Adige, Italia. O meglio Kalch, Südtirol, Italien. È la più tormentata delle 33 anime di quel grumo di case aggrappato alla montagna sopra Vipiteno. «Siamo pochi, ma gente tosta» ama dire. Calice è un luogo impervio, dove non si transita per caso. O ci vivi, o sei un camoscio della alta Valle Isarco, oppure sei Alex Schwazer il marciatore: gambe sottili da stambecco, fiuto d’aquila e agilità da marmotta che non va mai in letargo. Alex è il figliol prodigo di questa landa di confine aspra come il sapore delle erbe medicinali e dura come la roccia calcarea delle sue cime pallide. Se scavi nel terreno, non salta fuori niente. Se insisti, però, e scavi più forte, sotto la ruvida accoglienza puoi scovare una stella alpina di rara bellezza. La bellezza di Alex è il talento per la fatica. Sudare gli piace, soffrire non lo spaventa, arrivare esanime e prosciugato di energie fisiche all’appuntamento con Morfeo dà un senso alle sue giornate. Il privilegio del dolore è il valore aggiunto che lo distingue da tutti gli altri marciatori del pianeta atletica.
È con questi compagni di viaggio infilati dentro la valigia, insieme al regalo della cerbiatta che lo aspetta tra i monti, che Schwazer è atterrato in Cina. Il via di una gara di marcia è una bolgia infernale. Cinesi che gareggiano in casa, caricati a molla da anni di aspettative e pronti a esplodere come pentole a pressione. Russi dominatori della specialità, tra sussurri e sospetti che li rendono terribilmente invisi e temuti, abituati a scattare con l’arroganza dei forti per scorticare a morsi i libri dei record. Australiani forgiati dal sole implacabile del loro continente riarso. Svizzeri arrembanti, francesi vogliosi di grandeur, carneadi spuntati da chissà dove, ma armati dell’incoscienza di chi non ha nulla da perdere e desiderosi di approfittare della prima crisi altrui.
E poi c’è Alex da Racines. Nel caos calmo che precede lo sparo dello starter lo riconosci perché è circondato da un’aura trasparente. Dentro la sua bolla, memorizzati uno ad uno i 46.500 passi che gli serviranno per coprire i 50.000 metri del percorso, il biondo non ammette nessuno. (...) Nel nugolo di braccia ossute, occhi enormi, zigomi sporgenti, pance concave e cosce forgiate dal passo innaturale della marcia, tacco-punta-tacco-punta-tacco-punta, lui è lo spilungone vestito di bianco – canottiera e pantaloncini della nazionale italiana –, pettorale numero 2102. Addosso, come da regolamento, ha solo l’indispensabile: un cronografo al polso, per tenere i tempi della gara, gli occhiali per ripararsi dal sole implacabile di Pechino. E un anomalo braccialetto.
Carolina è a casa, davanti alla televisione. In Europa è l’1.30 di notte, orario in cui di solito è profondamente addormentata per recuperare le forze in vista dell’allenamento del giorno successivo. Stanotte, invece, è sveglia come un grillo. Accompagnare Alex a Pechino non è mai stato in discussione. Nessuno ancora sa della storia d’amore tra i due fiori più belli dell’Alto Adige. Volare in Cina aspettandosi le attenzioni di Alex alla vigilia della gara che può cambiargli l’esistenza non sarebbe stato da Carolina Kostner: «Nessuno come un atleta può comprendere gli stati d’animo, i rituali, le abitudini e le esigenze di un altro atleta. Soprattutto quando ci si trova sotto una forte pressione e l’unica cosa che conta è la concentrazione». (...) Aspetterà il suo grande amore in Italia, magari con una medaglia al collo. Ed eccolo Alex, il suo Alex, colto dal regista negli ultimi attimi di concentrazione, prima che la strada, e i metri da inghiottire sotto le suole, diventino la sua unica ossessione. Grande è la sorpresa quando la telecamera della regia cinese, a caccia di particolari con cui riempire l’attesa per lo sparo dello starter, si sofferma sul polso del concorrente numero 2102, Schwazer Alex from Alto Adige, Italy.
La figura ascetica di Alex, tirato al massimo per la corsa della vita, è “sporcata” da un unico dettaglio: il braccialetto al polso destro. Nessuno al mondo se ne accorge, tranne Carolina. Il bam secco della pistola è un rintocco che riporta tutti alla realtà. Carolina si mette comoda sul divano. Alex raccoglie dentro di sé le energie a cui attingerà per le prossime quattro ore, abbassa gli occhiali sul naso, bacia il braccialetto, respira. E parte. (...) Chilometro 42, otto alla fine. Alex scala marcia, inserisce il turbo: comincia la progressione che lo renderà imprendibile. Dopo quasi tre ore di gara viaggia a 4’16’’ al chilometro. Roba da matti. Nessuno dei rivali sopravvive al contraccolpo.
Al quarantacinquesimo chilometro Tallet è staccato di 40 secondi, il russo sprofonda a 41’’. Sembra fatta, ma a Alex non basta. Accelera ancora. È una locomotiva umana proiettata verso il Nido: le ultime centinaia di metri sono dentro lo stadio olimpico, nella pancia di uno stadio rovente, tra due ali di folla in delirio, riconoscente per lo spettacolo e ammirata dallo sforzo. (...) Sopraffatto dalle emozioni, Alex comincia a piangere. (...) E piange Carolina Kostner, sola e grata e innamorata sul divano, mentre l’aurora fa capolino da dietro i monti e il bagliore dello schermo pieno del suo Alex, campione olimpico e neofidanzato, evapora in un sospiro tremante. «Come atleta capisco lo sforzo di Alex» dirà.
«Vivo con lui ogni metro della sua gara. Respiro il suo respiro. Guardarlo marciare è terribile. Mi viene un dolore quasi fisico: non posso fare niente per lui, tranne che mandargli energia positiva.» Gli ultimi metri sono una felicissima agonia. Novantamila spettatori applaudono in estasi. Settantaquattro anni dopo la Lunga Marcia di Mao, è un biondino del Nord Italia, prodotto italiano d’esportazione di altissima qualità come il latte che si munge a Vipiteno, a mettere insieme i passi sufficienti per riscrivere la storia. Alex guarda il cielo. Ha un pensiero per nonno Albert, padre di papà Josef, cui era legatissimo, scomparso pochi giorni prima, il 27 luglio: «Sapere che c’è qualcuno che ti vuole bene è utile. Io sono uno che ha bisogno di molti abbracci».
E poi ha gesti, tanti, per Carolina. Bacia il braccialetto, lo indica platealmente, in mondovisione, alzando le braccia svuotate di muscoli sul traguardo. È il suo modo di dire a Carolina “ti amo”, a distanza. Venerdì 22 agosto 2008 Alex Schwazer vince l’oro olimpico nella 50 km di marcia in 3 ore, 37 minuti, 9 secondi. È il nuovo record olimpico. (...) Le barrette energetiche, la doccia, le interviste, le foto, la premiazione, l’inno di Mameli, la medaglia d’oro: ci sarà tempo per tutto questo. L’urgenza è un’altra. Torna serio. Uno stormo di farfalle impazzite sbatte contro le pareti vuote del suo stomaco. Vuole chiamare Carolina ma ha dimenticato il cellulare sull’aereo che l’ha portato in Cina. (...) Alex compone il numero in apnea. «Hast du gesehen dass du mir Glück gebracht hast?» Hai visto che mi hai portato fortuna? Carolina si congratula, felice anche perché il suo dono è servito. «È un braccialetto unico e speciale» spiegherà. «Me lo diede anni fa a Oberstdorf una piccola aspirante pattinatrice. È composto da due tasselli: su uno ci sono i pattini da ghiaccio, su un altro la sagoma di un angelo.» Non sarà prezioso ma di certo permette di volare lassù, tra le nuvole.
Lei: solo un atleta può capire gli stati d’animo di un altro sportivo Lui: sapere che c’è chi ti vuole bene è utile. Io ho bisogno di molti abbracci