In Alto Adige 482 profughi
Sopralluogo di Kompatscher e Stocker. Weissensteiner: Brennero, manca tutto
BOLZANO Sono 482 i richiedenti asilo presenti attualmente in Alto Adige. Il dato è stato reso noto dall’assessora provinciale Martha Stocker, nel corso della visita ad alcune strutture ospitanti. In particolare, nel corso della mattinata, la delegazione di consiglieri provinciali guidati dall’assessora Stocker, ha visitato, insieme al vicepresidente Christian Tommasini e al presidente della Provincia Arno Kompatscher, l’ex caserma Gorio di Bolzano, gestita dall’associazione Volontarius, «Casa Aron» a Bagni di Zolfo, gestita dalla Caritas, e infine «Casa Arnika» a Merano.
I richiedenti asilo al momento sono suddivisi in sei strutture, cinque operanti a Bolzano e una a Merano. «In considerazione del flusso di profughi provenienti dal nord Africa, nelle prossime settimane sono da prevedere ulteriori arrivi in Alto Adige», ha spiegato la Stocker. A questo scopo, secondo quanto riferito dall’assessora, è in allestimento un’ulteriore struttura a Prati di Vizze, mentre nei singoli comprensori dovranno essere identificate delle altre sedi, sulla base di un apposito piano di distribuzione dei profughi sul territorio. Secco no comment da parte del presidente Kompatscher e dalla Stocker, invece, sulla polemica innescata dal presidente della Lombardia Roberto Maroni, che l’altroieri ha dichiarato di voler sospendere i contributi ai comuni che si diranno disponibili ad accogliere nuovi richiedenti asilo.
«Di norma, dopo la prima accoglienza nell’ex caserma Gorio di Bolzano, dove vengono effettuati anche controlli medici ed espletate le procedure burocratiche, i profughi vengono suddivisi nelle strutture di accoglienza temporanea», ha spiegato il direttore della Ripartizione politiche sociali della provincia, Luca Critelli.
«Complessivamente la permanenza in queste strutture va dai 12 ai 18 mesi, entro un mese dalla decisione in merito alla domanda di asilo». Intanto, sulla situazione dei profughi in transito a Bolzano e Brennero Critelli rassicura: «In media sono circa 40 le persone ospitate al confine per la notte. La situazione è sotto controllo, e direi che siamo molto lontani dall’idea di installare una tendopoli al valico».
Esprime invece delle perplessità sulla gestione complessiva dell’emergenza Monika Weissensteiner, antropologa della Fondazione Alexander Langer che ormai da due anni sta monitorando il flusso di profughi attraverso il Brennero.
«Nell’arco di una giornata, al Brennero, ci sono in media 120 transiti, tra riammissioni dall’Austria, persone che da Bolzano si spostano verso il confine e quelle che vengono fatte scendere dalle pattuglie trilaterali dai treni Eurocity verso Monaco: sono tutti profughi che vorrebbero porre domanda di asilo in un altro paese europeo, malgrado il regolamento di Dublino, ma — spiega Weissensteiner — non riescono a oltrepassare il valico per mancanza di documenti. Il fatto che poi nella struttura messa a disposizione dal comprensorio dormano in media appena 40 persone non toglie che la risposta della Provincia alla situazione sia insufficiente: mi sembra — prosegue l’antropologa — che l’unica strategia adottata da istituzioni e associazioni sia sperare che le persone si disperdano». E ancora: «Dubito fortemente che il locale al Brennero possa ospitare in modo dignitoso un numero più alto di persone per la notte: parliamo di tre stanze dormitorio, un’unica finestra, due bagni. Eppure, alcuni giorni fa, — ricorda la Weissensteiner — il numero di ospiti superava il centinaio. Al Brennero, inoltre, non c’è un locale diurno e soprattutto manca l’assistenza sanitaria, nonostante transitino continuamente donne in gravidanza e bambini, minori non accompagnati, vittime di violenza e soggetti affetti da scabbia. Un’accoglienza strutturata e coordinata tra Brennero e Bolzano si sta dimostrando inesistente. Sia in città che al confine, ad esempio, non c’è un presidio legale che fornisca consulenza alle persone: tutto è lasciato nelle mani dei pochi volontari e operatori, ma stiamo parlando di persone che si trovano in una condizione giuridica molto particolare e per le quali servono risposte pianificate. Siamo un territorio con degli standard alti nei servizi— chiosa l’antropologa — perché abbassare il livello proprio in questa situazione?»