«Ho metà azienda negli Usa e funziona»
L’esperienza di Pellegrini (Novurania): «Le logiche pubbliche non aiutano»
TRENTO «Internazionalizzare? È difficile, ma si può, anzi, si deve fare». A parlare è Mirco Pellegrini, amministratore delegato di Novurania Spa, intervenuto alla presentazione del rapporto annuale di Bankitalia per portare un esempio concreto di cosa significhi bussare al mondo da Tione di Trento, dove ha sede il 50% della sua azienda. L’altra metà, infatti, risponde alle regole del mercato californiano perché è lì, per l’esattezza a Torrance, nella regione di South Bay a sud ovest di Los Angeles, che l’impresa ha aperto il suo secondo polo nel 1983.
Una scelta quasi obbligata, «per non scomparire» racconta l’imprenditore che, pur riconoscendo il Trentino come «un buon territorio dal quale partire», riflette: «Rispetto ad altre aree, siamo molto indietro: gli aiuti dati alle imprese sono frammentari, l’Ice è un carrozzone burocratico, la Camera di Commercio si muove in una logica pubblica e Trentino Sviluppo è più adatto alle imprese appena nate che a chi ha già una storia».
Il problema maggiore, a sentire Pellegrini, starebbe soprattutto in una disparità di visione: la Provincia, infatti, avrebbe buoni strumenti per valorizzare le imprese locali, ma non terrebbe conto delle loro reali esigenze. «Penso, ad esempio, alla legge che co-finanzia i viaggi di lavoro finalizzati all’apertura di canali export i cui termini sono troppo limitati e un imprenditore che va all’estero non si muove con il timer» sottolinea, ricordando inoltre il gap culturale: «Far capire che per una questione di fusi orari, è più efficiente rispondere prima alle richieste che arrivano dall’Asia e poi a quelle made in Usa, non è scontato come si potrebbe pensare».
Infine, la cosiddetta «cultura del permesso»: «In America ci sono divieti ben precisi, tutto ciò che non rientra in questa lista è lecito. Da noi, invece, si vieta concettualmente tutto, salvo poi accordare un permesso per ogni cosa». Insomma, la ben nota burocrazia «che — conclude l’ad — unita alla corruzione e alla debolezza della pubblica amministrazione, rende la nostra una missione degna di inguaribili ottimisti».