LE RETORICHE DA EVITARE
Non vogliamo fare gli americani e tanto meno imitare la loro moda dei negozi aperti ventiquattro ore su ventiquattro, propulsori di consumismo a più non posso da poter soddisfare per l’intera settimana e in ogni momento del giorno e della notte. La pianta del consumismo non abbiamo, infatti, molto bisogno di coltivarla, poiché sembra già abbastanza fiorente qui da noi, paese degli outlet e dei centri commerciali.
Tornare alla severa normativa dei negozi in uso prima della riforma che li ha lasciati liberi di aprire la domenica e in orari prolungati, però, sarebbe probabilmente darsi la zappa sui piedi. Si sa che nella nostra regione il progetto della marcia indietro ventilata dal governo incontra non pochi seguaci, in provincia di Bolzano soprattutto, ma non soltanto. Succede per via della vicina cultura tedesca che non ha mai previsto aperture nei giorni festivi e a lungo nemmeno nel sabato pomeriggio; ma succede anche per la posizione della Chiesa ovviamente contraria al lavoro domenicale; e a ciò si aggiunge la voce dei piccoli negozi cui la liberalizzazione delle aperture può, in effetti, creare dei problemi di straordinari e di personale. Ciò nonostante, tornare all’antico non sembra la soluzione migliore.
Ovvio che, innanzi tutto, si tratta di una questione di bisogni della società, nel senso che le famiglie in cui entrambi i coniugi lavorano da tempo non hanno altra alternativa che la spesa domenicale, e la stessa regola vale anche per chi famiglia non ne ha, chissà, a maggior ragione, perché in tal caso è forse meno motivato a terminare il lavoro alla sera il prima possibile.Tuttavia, gli orari — moderatamente — liberi rappresentano anche un’occasione per le piccole botteghe grazie alla loro ovvia maggiore flessibilità rispetto alle grandi superfici: negli ultimi anni si è infatti già visto, in giro per l’Italia, il negozio di alimentari aperto alla sera accanto al supermercato già chiuso. E c’è da considerare che i nostri centri, molti dei nostri centri, pur non avendone la vocazione precipua, sono comunque turistici e far trovare — ai visitatori di chiese, monumenti e musei — negozi, bar e ristoranti sbarrati al sabato pomeriggio e alla domenica non giova a nessuno.
In ragione dell’autonomia, potrebbero allora le nostre due province diventare davvero un laboratorio capace di trovare l’equilibrio giusto tra conservazione e liberalizzazione, senza estremismi né da una parte né dall’altra, senza rinchiudersi in nessuna delle due retoriche, non quella del passato che mitizza la civiltà del tutto chiuso nelle feste né quella del futuro che impone consumismo senza orari e senza freni.