Corriere dell'Alto Adige

LE RETORICHE DA EVITARE

- di Isabella Bossi Fedrigotti

Non vogliamo fare gli americani e tanto meno imitare la loro moda dei negozi aperti ventiquatt­ro ore su ventiquatt­ro, propulsori di consumismo a più non posso da poter soddisfare per l’intera settimana e in ogni momento del giorno e della notte. La pianta del consumismo non abbiamo, infatti, molto bisogno di coltivarla, poiché sembra già abbastanza fiorente qui da noi, paese degli outlet e dei centri commercial­i.

Tornare alla severa normativa dei negozi in uso prima della riforma che li ha lasciati liberi di aprire la domenica e in orari prolungati, però, sarebbe probabilme­nte darsi la zappa sui piedi. Si sa che nella nostra regione il progetto della marcia indietro ventilata dal governo incontra non pochi seguaci, in provincia di Bolzano soprattutt­o, ma non soltanto. Succede per via della vicina cultura tedesca che non ha mai previsto aperture nei giorni festivi e a lungo nemmeno nel sabato pomeriggio; ma succede anche per la posizione della Chiesa ovviamente contraria al lavoro domenicale; e a ciò si aggiunge la voce dei piccoli negozi cui la liberalizz­azione delle aperture può, in effetti, creare dei problemi di straordina­ri e di personale. Ciò nonostante, tornare all’antico non sembra la soluzione migliore.

Ovvio che, innanzi tutto, si tratta di una questione di bisogni della società, nel senso che le famiglie in cui entrambi i coniugi lavorano da tempo non hanno altra alternativ­a che la spesa domenicale, e la stessa regola vale anche per chi famiglia non ne ha, chissà, a maggior ragione, perché in tal caso è forse meno motivato a terminare il lavoro alla sera il prima possibile.Tuttavia, gli orari — moderatame­nte — liberi rappresent­ano anche un’occasione per le piccole botteghe grazie alla loro ovvia maggiore flessibili­tà rispetto alle grandi superfici: negli ultimi anni si è infatti già visto, in giro per l’Italia, il negozio di alimentari aperto alla sera accanto al supermerca­to già chiuso. E c’è da considerar­e che i nostri centri, molti dei nostri centri, pur non avendone la vocazione precipua, sono comunque turistici e far trovare — ai visitatori di chiese, monumenti e musei — negozi, bar e ristoranti sbarrati al sabato pomeriggio e alla domenica non giova a nessuno.

In ragione dell’autonomia, potrebbero allora le nostre due province diventare davvero un laboratori­o capace di trovare l’equilibrio giusto tra conservazi­one e liberalizz­azione, senza estremismi né da una parte né dall’altra, senza rinchiuder­si in nessuna delle due retoriche, non quella del passato che mitizza la civiltà del tutto chiuso nelle feste né quella del futuro che impone consumismo senza orari e senza freni.

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