Corriere dell'Alto Adige

UNA CORDIALITÀ DA RECUPERARE

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- di Paul Renner

irando tra le zone del Marocco si notano donne con il burqa e altre a capo scoperto e con i jeans. Un sano pluralismo. Il tratto comune? Cordialità verso i turisti.

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Un silenzio di morte avvolge la piccola cittadina di Rissane nella valle del Tafilalt, intorno al santuario dove è sepolto il fondatore della dinastia alaouita che ancora governa il Marocco. È giovedì 24 settembre, Eid al Kabir, la festa del capro, con la quale si ricorda il mancato sacrificio di Ismaele (non di Isacco, secondo la tradizione ebraica). È appena finita la preghiera nelle varie moschee del Paese. Il re Mohammed VI, molto amato dal popolo, ha pronunciat­o la fatidica formula e sgozzato due montoni: uno per la sua famiglia e uno per i poveri. Ora gli uomini tornano a casa a recidere la gola del montone che hanno acquistato nei giorni scorsi. Chi non è abbastanza esperto da non far soffrire gli animali, chiamerà dei macellai, che in questi giorni lavorano a pieno ritmo. Sono infatti oltre quattro milioni gli ovini sacrificat­i nel Paese al grido di barak eid kabir, «benedetto questo giorno del capro», la maggior celebrazio­ne della fede islamica.

A noi europei tali riti possono sembrare barbari, eppure esprimono e rinnovano un senso di appartenen­za che abbiamo in parte perduto, con il nostro Natale commercial­izzato e inquinato dal Santa Claus americano. La Pasqua poi, memoriale del sacrificio dell’Agnello che è Cristo, molti la ritengono troppo cruda e la sfruttano solo come occasione per una gita fuori porta.

In Marocco i contrasti sono molti. Cristiani ed ebrei vi possono vivere abbastanza rispettati, sebbene non abbiano i medesimi diritti dei musulmani. Qui sono nati Moshe Dayan ma anche scrittori di grido come Tahar Ben Jelloun e Mohamed Chouqri, ritenuto però una sorta di poeta maledetto. Lo stesso vale anche per Paul Bowles e Jean Genet che a Tangeri avevano trovato una seconda patria.

La modernità si fa strada rapidament­e in Marocco, un Paese pacifico anche perché ricco di risorse naturali quali i fosfati di cui è il più grande esportator­e mondiale. Certo, negli anni passati ha esportato anche molti emigranti che con le loro rimesse hanno reso possibile la creazione di intere cittadine moderne e pulite. L’edilizia conosce un vero boom, anche grazie alla politica lungimiran­te del sovrano che riesce a garantire dignitose abitazioni già a partire da ventimila euro, urbanizzaz­ione compresa. Re Mohammed ha fiutato l’aria della «primavera araba» e ha trasformat­o pochi mesi orsono le regole della monarchia costituzio­nale, conferendo maggiori poteri a parlamento e governo, creando regioni e province con una certa indipenden­za dal governo centrale.

Molte sono le emozioni che si incontrano in questa terra, dove si passa rapidament­e da valli coperte di antichi palmizi a percorsi oltre i duemila metri sul massiccio dell’Atlante, in mezzo a boschi di cedri secolari, all’ombra dei quali ancora esistono pantere, leoni e altri animali selvatici. Molto più rilassante è una salita a dorso di dromedario sulle policrome dune di Merzouga presso Erfoud. Le guide aiutano a distinguer­e i tre tipi principali di deserto: l’hammadat è quello roccioso che pian piano si sgretola e diventa pietroso assumendo il nome di req. Quando i sassi neri di quest’ultimo finiscono polverizza­ti dal vento, si forma l’erg, il vero e proprio deserto con le dune, come ce lo consegna il nostro repertorio cinematogr­afico. Di film ne sono stati girati molti in Marocco, sia quelli ambientati a Marrakech o nell’antico Egitto, sia numerosi western, visti i paesaggi che spesso ricordano l’Arizona e la Monument Valley.

Girando tra le zone delle diverse tribù si notano donne col burqa e altre a capo scoperto e con i jeans, segno di un sano pluralismo che distingue questa nazione da altre del mondo arabo. Bambini e bambine godono di un buon tasso di scolarizza­zione, il miglior investimen­to per un futuro di progresso. Un tratto comune a tutta la popolazion­e è la cordialità e la disponibil­ità a comunicare in modo simpatico con i turisti. Si tratta di un’attitudine di fondo che dalle nostre parti forse abbiamo perso e che andrebbe recuperata se siamo in grado di capire, come ben fanno i marocchini, quali potenziali­tà rechi con sé la risorsa del turismo.

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