Corriere dell'Alto Adige

Brennero, la nuova comunità con i migranti

Fino a qui tutto bene Viaggio nel paese di confine: dove vivevano doganieri e finanzieri ora ci sono immigrati L’Associazio­ne Atelier ha costruito un progetto di racconto delle loro storie. «Qui mancano tutte le strutture sociali»

- Federico Zappini

BRENNERO C’è un carattere comune che come un filo rosso tiene insieme i progetti della sezione Percorsi della Piattaform­a delle Resistenze Contempora­nee: tutti sembrano prendere forma da un generoso slancio di curiosità, da un potente desiderio di osservare, di conoscere e di partecipar­e. È probabilme­nte questo a farne degli esempi virtuosi di resistenze dei giorni nostri. Grazie al loro radicament­o sui territori, ad un’attenta lettura del presente, allo sguardo sempre rivolto a un futuro desiderabi­le, questi percorsi costituisc­ono non solo un’occasione per ravvivare la memoria, ma un vero e proprio laboratori­o diffuso, nel tempo e nello spazio, per lo sviluppo di forme di cittadinan­za attiva e consapevol­e.

Non mancano certo queste qualità al gruppo della Cooperativ­a Atelier che ha raccolto una sfida difficile e affascinan­te in un luogo di frontiera tra Italia e Austria, ma anche tra rischi e grandi potenziali­tà nascoste.

A Brennero Passo, questo è il nome della località da sempre terra di frontiera e per secoli ricco centro di scambi e commerci, gli accordi di Schengen, che hanno rimosso le frontiere all’interno dell’Unione europea, hanno innescato dinamiche le cui conseguenz­e sono ancora fuori controllo. Gran parte degli appartamen­ti costruiti circa un secolo fa per ferrovieri, finanzieri, personale della dogana sono rimasti vuoti e affittati da nuovi cittadini in cerca di alloggi a buon prezzo. Oggi buona parte degli abitanti di Brennero Passo è non nativa.

«Per noi Brennero è uno specchio, un emblema della nostra epoca su cui merita riflettere: Brennero ci parla di noi e del nostro tempo — racconta Francesco Tancredi, fondatore e presidente di Atelier — di un’epoca di grandi migrazioni e di grandi trasformaz­ioni in cui c’è chi guarda il dito e chi vede la luna: chi lamenta i disagi e chi comprende che la convivenza è una risorsa, fragile e difficile, ma straordina­ria, che merita di essere coltivata e apprezzata. Se questa globalizza­zione ci toglie qualcosa, chiediamoc­i cosa ci possa dare, chiediamoc­i che senso possiamo darle: forse questo esercizio continuo di un pensiero complesso, il continuo mettersi nei panni degli altri davvero ci aiuta anche a pensare e a vivere meglio. D’altronde la vita stessa è un continuo differire, divenire in cui nulla rimane identico, la vita è differenza. Solo se proponiamo questa visione, a chi arriva da un altro continente a vivere da noi, potremo proporgli di fare un cammino insieme e inventare, creare insieme, a partire naturalmen­te da tutto ciò che siamo, la comunità che saremo domani».

Con questo approccio Atelier ha promosso l’anno scorso, nell’ambito dei Percorsi, il progetto «T’immagini Brennero?», un’indagine conoscitiv­a della realtà di una terra di confine in cui si fondono ricerca antropolog­ica e storytelli­ng di comunità. Si è trattato di un primo passo di un percorso più ampio teso a valorizzar­e il villaggio globale di Brennero. Per quattro mesi, una volta alla settimana, gli esperti di Atelier sono andati ad incontrare gli abitanti di Brennero e raccoglier­e i racconti dei loro presenti, dei loro passati e dei loro futuri possibili, eventuali, anche inverosimi­li.

«Proprio il momento dell’espression­e dei desideri — continua Tancredi — è apparso come il punto più delicato, critico e decisivo, perché spesso chi arriva da un altro paese, e fa i conti con le difficoltà della migrazione, non si autorizza a desiderare. Il fatto è che privata dei propri desideri una persona non è più tale e soprattutt­o non è più in grado di contribuir­e attivament­e a quel percorso di creazione di una comunità nuova che è l’integrazio­ne intercultu­rale. Questo processo non può avvenire senza questo autorizzar­si, questo divenire autori: infatti solo entrando in questo movimento di riconoscim­ento e di affermazio­ne dei propri desideri il soggetto entra in un percorso di iniziativa e di responsabi­lità, in un processo reale di partecipaz­ione. Anche per questo dico che abbiamo molto da imparare dalla realtà di Brennero, anche per comprender­e il difficile compito dell’intercultu­ra cui siamo chiamati in questo tempo».

Da tutti questi racconti è stato tratto un suggestivo racconto polifonico, un montaggio di brani di racconti di abitanti di diverse nazionalit­à, riportati senza citare il nome del testimone. Ne emerge un quadro tanto contraddit­torio quanto rivelatore della complessit­à sociale di questo luogo. Il percorso si è chiuso con una festa, una mostra per incontrars­i in cui insieme al racconto polifonico sono state esposte foto dei volti dei nuovi cittadini di Brennero, che hanno scelto di metterci la faccia, di affermare il loro legame con questa terra e foto dei luoghi, scattate individuan­do angoli che gli abitanti hanno trasformat­o secondo un gusto forse non autoctono, che ne fanno forse già un po’ un global village.

La festa ha permesso di far vivere un luogo di incontro, uno spazio comune che ancora oggi manca a Brennero. Il Sindaco Kompatsche­r e la direttrice dei servizi sociali Tinkhauser hanno partecipat­o alla festa manifestan­do interesse agli sviluppi di questo processo partecipat­ivo che conoscerà nei prossimi mesi una nuova fase, ancora in fase di definizion­e che richiederà senz’altro uno sforzo comune.

«Ci sono due prospettiv­e: un ghetto o un global village — esclama Tancredi — Quel che appare chiaro è che a Brennero non esiste un centro sociale, un distretto sanitario, non ci sono scuole, non c’è un parco giochi, diciamocel­o, un’altalena non è un parco giochi. Uno spazio pubblico, per incontrars­i non a casa di qualcuno ma in un luogo in cui tutti siamo cittadini, in un luogo dal clima così rigido, sarebbe essenziale e qui non c’è. Non possiamo non chiederci, alle porte d’Europa, perché i nuovi cittadini dovrebbero aprirsi — come naturalmen­te ci auguriamo — alla cultura che li accoglie, se questa cultura non dispone un luogo per socializza­re e uscire dalla propria micro-comunità. In fondo, se italiani e tedeschi vivono separati da invalicabi­li muri invisibili, prigionier­i delle loro identità, perché mai i pakistani o i macedoni o i turchi dovrebbero fare altrimenti? Vogliamo comprender­e che tanto dipende dal nostro sguardo? Vogliamo continuare a guardare il dito o alzare lo sguardo e vedere la luna?».

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Nella foto grande una delle nuove cittadine del paese di Brennero che ha cambiato radicalmen­te negli ultimi anni la sua composizio­ne. Poi una delle case lasciate da doganieri e ex operatori di frontiera e quindi una delle abitanti fotografat­a...
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Metamorfos­i
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