«I migranti economici simili ai rifugiati»
Convenzione di Ginevra, l’antropologa Weissensteiner critica la distinzione
TRENTO Esperienze vissute ed esperienze narrate. Una dicotomia a volte non ricomponibile, in alcuni casi preda di una dialettica asimmetrica in cui agiscono proiezioni e immaginario: come nelle procedure per richiedere protezione internazionale, dove è la propria storia personale, per i richiedenti asilo, il discrimine per accedere a un diritto. «Che cosa significa narrare di sé, per una persona che non condivide i nostri codici linguistico-istituzionali?»: questo, secondo Monica Weissensteiner, si dovrebbe chiedere ogni operatore quando interroga un migrante sulla propria storia.
Antropologa, impegnata dal settembre dello scorso anno a monitorare al Brennero e a Bolzano la situazione dei profughi che vorrebbero lasciare l’Italia per chiedere asilo in un altro paese europeo, la ricercatrice è intervenuta nel secondo dei quattro appuntamenti su accoglienza e relazioni con i rifugiati organizzati dal centro Astalli insieme al Cinformi. «Il racconto è una pratica obbligata, fa parte della procedura — spiega — ma è faticoso, per il richiedente, doversi sintonizzare con codici che non maneggia». Da qui deriva l’atteggiamento ambivalente di chi presenta una domanda di protezione internazionale: «La comprensione a significare la storia come strumento per accedere a un diritto, ma anche una certa ritrosia, la resistenza al dover essere giudicata».
I primi step istituzionali che hanno come oggetto la «co-costruzione della memoria» sono preda di una dialettica asimmetrica: «I richiedenti cominciano a intraprendere un percorso di adattamento, devono dare forma alla propria biografia nel tentativo di sintonizzarsi all’immaginario dell’altro» spiega Weissensteiner. Non esiste, infatti, un modo unico di raccontare, le narrazioni sono il prodotto della realtà socio-culturale in cui vengono generate.
La credibilità del narrato, poi, è considerata elemento chiave per il successo della domanda, «ma sempre secondo categorie mentali occidentali». Le storie che parlano di accuse di stregoneria provenienti dall’Africa sub-sahariana, ad esempio, riconducibili a dispute o conflitti per l’accesso alle risorse o piccoli business, difficilmente vengono credute, anche se dettagliate e coerenti.
Secondo l’antropologa «la richiesta di asilo è una forma sottile di manipolazione che un soggetto deve agire sul sé»: «Noi chiediamo al richiedente di adattarsi ai nostri criteri di appartenenza per essere accettato» sostiene, palesando, in questo, una critica «alla convenzione di Ginevra, che ha posto le basi per una scissione categoriale tra il rifugiato e il migrante economico, quando invece è noto che, a seguito dell’impatto delle economie globali sui contesti da cui questi provengono, le migrazioni sono sempre generate da una matrice ibrida».