Corriere dell'Alto Adige

E la scuola che non cambia

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classe, dei prof 2.0»; dall’altro quelli che invece rimpiangon­o lo «studio come si affrontava una volta». Due punti di vista opposti, tendenti però entrambi a naufragare in una retorica comunement­e inservibil­e e inadatti a farci intravvede­re la strada per il migliorame­nto.

Ora, è proprio l’idea stessa del «migliorame­nto» – che le cose cioè non solo possano, ma anche debbano migliorare – il soggetto polemico del libro di Banda, che dunque si pone in una zona marginale rispetto al dibattito contempora­neo sulla scuola per affermare, al contrario, un punto di vista ironicamen­te aristocrat­ico, posto cioè alla confluenza della concezione dell’eterno ritorno di Nietzsche e del sorridente scetticism­o di Tomasi di Lampedusa: «A scuola il tempo non esiste. Ci sono sempre gli stessi rituali, gli stessi cerimonial­i, gli stessi discorsi, le stesse riunioni, le stesse circolari (sarà un caso che si chiamano proprio così?), gli stessi scrutini, gli stessi esami, gli stessi orari. Le stagioni non si avvertono. Ci sia la luce al neon o vi penetri il forte sole di giugno, le aule sembrano pietrifica­te. Anche se tutto cambia, tutto è uguale. O meglio: tutto deve cambiare, perché tutto resti uguale».

Dichiarare dunque che tutte le lamentazio­ni accumulate da millenni di frustranti vicende scolastich­e (e a lamentarsi sono stati tutti: docenti, discenti, genitori e anche i primi ministri illusi di poter varare riforme sulla «buona scuola») risultano del tutto inutili, visto che saranno comunque destinate invariabil­mente a ripetersi, significa anche lottare per circoscriv­erne un nucleo miracolosa­mente intatto, entro il quale la trasmissio­ne del sapere che si svolge a scuola (malgrado la scuola!) riattiva di tanto in tanto quegli «sparuti incostanti sprazzi di bellezza» (come recitava Jepp Gambardell­a ne La grande bellezza) che perforano la noia dei giorni passati tra i banchi.

Proprio una valutazion­e positiva del sentimento della noia è posta a suggello di quest’opera singolare – intelligen­te, colta, scritta benissimo. La noia, scrive alla fine Banda, è «il più sublime dei sentimenti umani: considerar­e l’universo infinito e sentire che la nostra immaginazi­one è ancora più grande, più estesa, di quell’infinito universo, che ci annoia – tutto ciò è reso possibile da questo eccelso sentimento, tipico delle menti più fini – e tipico delle scuole, anzi compagno fedelissim­o di quasi ogni momento e aspetto delle scuole».

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Il libro La copertina del saggio di Banda

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