Corriere dell'Alto Adige

LA VOCE DI OLFA CI FA SPERARE

- di Gabriele Di Luca

Quando cominciai a scrivere sui forum in rete, quindici anni fa, adottai per molto tempo un nickname che voleva essere programmat­ico: étranger, straniero. L’uso del francese era un omaggio ad Albert Camus, a Edmond Jabès e a Jacques Derrida, alcuni dei miei scrittori e filosofi di riferiment­o, ma intendeva anche sottolinea­re un’esigenza comunicati­va. Una mossa di apertura al fine di sospendere gli automatism­i che regolano una visione statica dell’identità. Lo straniero, infatti, è per definizion­e colui che non aderisce senza residui al contesto in cui si trova a operare, non si colloca immediatam­ente su uno dei fronti consolidat­i, ma proprio perciò, come una cartina di tornasole, riesce a evidenziar­ne i meccanismi e le attitudini peculiari. Eppure, nonostante la finzione d’autore, io non ero, non sono straniero. Sono «italiano», anche se contrario a rientrare docilmente nella categoria.

Chi invece appare o viene percepita come «straniera» è Olfa Sassi, originaria della Tunisia ed eletta come «italiana» tra gli otto rappresent­anti della società civile che andranno a costituire il gruppo dei trentatré cui è affidato il compito di elaborare le proposte sulla riforma dello Statuto di autonomia. Il fatto non ha mancato di suscitare spiacevoli polemiche. Ma come, è il principale dubbio sollevato, una tunisina dovrebbe interpreta­re le esigenze del gruppo linguistic­o italiano? Si tratta di un rilievo che discende, in modo pavloviano, dall’impostazio­ne stessa della rappresent­atività prevista dal metodo di selezione prescelto: anche chi sarebbe in teoria favorevole all’evoluzione di un Sudtirolo post-etnico non sfugge alla cruna del vecchio gioco delle appartenen­ze e ne sconta le scorie. La domanda allora diventa: pur non coltivando soverchie illusioni, ma continuand­o ancora a vedere di buon occhio una simile evoluzione, abbiamo sul serio motivo di rammaricar­ci se le nostre ragioni vengono portate avanti da chi, per statuto ontologico, ha la fortuna di far risaltare tutta la contraddiz­ione nella quale ci troviamo incastrati, lasciandoc­i insomma almeno gustare l’esistenza di un briciolo di lievito post-etnico dentro a un impasto di tutt’altra natura? Olfa Sassi merita dunque tutta la nostra simpatia e il nostro incoraggia­mento per una sfida che, al di là della Convenzion­e e dei suoi limiti, può essere sostenuta anche dall’esterno, nel teatro quotidiano di una convivenza e di un’integrazio­ne non solo formale.

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