Corriere dell'Alto Adige

Tamara, l’altruista «Nessun eroismo ma sono fiera di me»

L’altoatesin­a risponde a Moro: «Mi sopravvalu­ta». Il bilancio: «Fiera di me»

- Silvia Fabbi

La svolta Nanga Parbat, l’alt vicino alla cima

BOLZANO «Non sono un’eroina, non voglio esserlo e anzi mi imbarazza che qualcuno lo dica». Ha solo 29 anni eppure parla con la consapevol­ezza e la maturità di un’alpinista di lungo corso Tamara Lunger, l’altoatesin­a entrata nella storia per essere stata la seconda donna a scalare il K2 nel 2014, che quest’anno ha rinunciato al Nanga Parbat ad appena 70 metri dalla cima, consentend­o ai compagni di realizzarn­e la prima scalata assoluta in invernale. In un’intervista pubblicata ieri dal Corriere della

Sera il suo compagno di spedizione Simone Moro ha dato atto del suo coraggio, ribadendo che la giovane ma fortissima scalatrice ha preso una decisione «che pochi al mondo avrebbero saputo prendere».

Tamara, cosa pensa di ciò che Simone ha detto di lei?

«Simone sopravvalu­ta il mio ruolo. Certo, se avessi deciso di andare avanti la situazione sarebbe stata peggiore per tutti: ci avremmo messo più tempo, forse a qualcuno sarebbe venuto un congelamen­to, sarebbe sceso il buio, insomma non si sa come sarebbe andata. In un team ciascuno è responsabi­le per se stesso. Poco sotto la cima avevo detto ai compagni che, se fossi arrivata su, avrei avuto bisogno del loro aiuto per scen- dere. Poi però mi sono resa conto di aver detto una cosa assurda, insensata. Non avrebbero potuto aiutarmi neanche volendo: non avevamo corda, i soccorsi a quella quota non ci sono. Allora ho deciso di tornare indietro».

Sulla strada del ritorno c’è stata poi effettivam­ente una sua caduta. Com’è successo?

«In quel momento ho pensato davvero “sono morta”. Non è una frase fatta. Cadendo ho capito di non avere chance: non potevo piantare i ramponi , perché mi s a re i rot t a le gambe per fermarmi, e allora sarei rimasta bloccata lì e sarei morta comunque perché nessuno sapeva dove mi trovavo. Allora mi sono abbandonat­a completame­nte, ho accettato il fatto che sarei morta. Molti dicono che in quei momenti ti passa davanti tutta la vita. Per me è stato solo un’attesa del momento in cui mi sarei fermata. E lì ho avuto davvero fortuna: mi sono fermata su un mucchio di neve molle. L’unico di tutta la montagna, probabilme­nte. Ero ferita alla caviglia, avevo botte ovunque ma ero viva. Mi sono trovata lì seduta, ho guardato il tramonto e ho pensato che in quel momento era solo mio. Questione di attimi, perché poi mi sono resa conto di dover ritrovare al più presto la traccia prima che calasse il buio. Credo che sia stato dio, o come la vogliamo chiamare, energia, spirituali- tà, la forza di quei luoghi, a salvarmi la vita».

Com’è stato poi incontrare nuovamente Simone?

«Quella è stata una notte molto fredda, anche come emozioni intendo. Non volevo assolutame­nte passare per la femminucci­a del gruppo, così ho solo detto a Simone che ero caduta ma senza entrare tanto nei dettagli. Poi però nel sacco a pelo ho pianto di nascosto dagli altri tutta la notte. Solo allora mi sono accorta di essere arrivata così vicina alla morte, e insieme mi sono resa conto che era così bello, invece, essere ancora lì insieme ai miei compagni».

Che bilancio traccia, dunque, di questa esperienza?

«Sono veramente fiera dell’impresa dei miei tre uomini. Ma sono anche fiera di me, per essere tornata indietro senza essere triste per questo. Dopo che ti sono successe, queste cose sono anche belle, specialmen­te per me che amo vivere la vita al limite. L’esperienza mi ha reso più viva ma anche più dura. Ho imparato tante cose, e adesso so che se dovesse succedermi di nuovo una situazione simile, saprei cosa fare. E saprei anche che, anche tornando indietro, tutto avrà avuto un senso comunque».

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Affiatamen­to Tamara Lunger e Simone Moro

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