Corriere dell'Alto Adige

«Still Life» approda al Sociale In scena il bullismo omofobo «È un inno alla fantasia»

- Silvia Pagliuca

Discrimina­zione, isolamento, derisione. L’ensemble Ricci / Forte arriva al Teatro Sociale di Trento, domani alle 20.30, con Still Life, spettacolo scritto nel 2013 per il ventennale del Festival Garofano Verde e definito un «massacro a cinque voci per una vittima». Oggetto: il bullismo omofobico ai danni degli adolescent­i. A parlarne, il regista Stefano Ricci( nella foto ), noton el teatro italiano perla potenza deflagrant­e delle sue espression­i artistiche.

Stefano, ironico e irriverent­e proprio come il suo spettacolo. Come definire Still Life?

«Un inno alla fantasia. È un lavoro che trae spunto da un fatto di cronaca, il suicidio di un ragazzo emarginato poiché gay ed evolve in una riflession­e appassiona­ta su quanto sia importante vivere con libertà, specie nell’adolescenz­a, evitando di spingere l’altro all’angolo perché diverso».

Nell’epoca in cui tutto è social, c’è posto per la fantasia?

«Sì, anche se lontana da queste finzioni. I reality così come i talent non sono altro che falsità, costruzion­i artificios­e che ci allontanan­o dalla quotidiani­tà. Come avviene con Facebook, che ci illude e alla fine ci estranea. La fantasia, invece, presuppone un recupero di responsabi­lità».

Il teatro che ruolo ha?

«È come nell’antica Grecia: l’unica arena in cui generare dubbie prendere decisioni, senza subirle». La reazione del pubblico? «Sorprenden­te. Sia con i ragazzi delle scuole, inizialmen­te trincerati dietro agli smartphone, sia con le signore abituate a un teatro di svago, abbiamo sempre avuto la dimostrazi­one che un nuovo linguaggio è possibile».

Le immagini, forti e spiazzanti, sono uno dei suoi linguaggi preferiti. A cosa si è ispirato questa volta?

«A nulla in particolar­e, ogni percorso è un viaggio a sé, ogni spettacolo è frutto della sperimenta­zione tra un gruppo di attori. E nello scrivere, io e Gianni Forte (altra metà dell’ensemble) siamo onnivori: ogni mezzo è ispirazion­e nella ricerca del segno perfetto».

Ma l’accettazio­ne della propria identità è agevolata o ristretta in un territorio di confine come il Trentino?

«Il territorio nel quale cresciamo ha una grande influenza sugli uomini che potremo diventare. Ho lavorato spesso in Friuli, altro territorio di confine e ho rilevato con piacere che il pubblico ha voglia di uscire dagli schemi. Confido che possa essere così anche a Trento, che i giovani abbiano voglia di non accontenta­rsi, ho molta fiducia in questa generazion­e e nella possibilit­à che desideri qualcosa di nuovo».

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