Trama sulla paternità
Editoria Storia sui legami familiari nel primo romanzo di Gianna Schelotto «Chi ama non sa» sarà presentato il 22 aprile al Palazzo delle Albere di Trento
«Sale con un po’ di fatica le ripide scale che da bambino faceva di corsa, cercando ogni volta di stabilire un nuovo record, e sul pianerottolo si trova faccia a faccia col padre. Gualcita dal sonno e forse dallo spavento, un po’ invecchiata, la figura di quell’uomo in vestaglia (...) lo mette a suo agio. “Cosa è successo? Stai bene? State tutti bene?”. Domande turbate, ansios e. “Mi è nato un f i gl i o” risponde Luca».
Parole che conducono diritti al cuore di Chi ama non sa (Rizzoli, 2016) di Gianna Schelotto, il libro che sarà presentato a Trento il 22 aprile alle 16 a Palazzo delle Albere, nell’ambito di «Biblioé». Introduce Fausta Slanzi.
Psicoterapeuta, scrittrice, curatrice dell’apprezzata rassegna Un libro un rifugio che anima l’estate dell’Alta Badia, dopo diversi saggi di successo, tra i quali ricordiamo Le rose
che non colsi e Noi due sconosciuti, Schelotto approda ora al romanzo con una storia che dà voce a un protagonista «corale». È, infatti, la famiglia intesa come nucleo degli affetti il perno della narrazione.
Una famiglia che di convenzionale ha poco o nulla, e che assomiglia alle tante che compongono il contemporaneo, ciascuna con il suo equilibrio più o meno precario. Eppure, come un’onda che segue la sua strada e si allontana e poi si ricompatta e sembra t rovare nuova energia riunendosi alla massa d’acqua da cui proviene, anche la famiglia di Chi
ama non sa di fronte alla magia della nascita, riallaccia i rapporti, ciascun componente con il suo bagaglio di vissuto permette al bene che porta dentro di «lievitare».
Dottoressa Schelotto, chi ama non sa? O finge di non sapere o è meglio non sappia?
«Chi ama non vuole sapere, nel senso che si rende conto che quella conoscenza costituirebbe un’aggiunta inutile rispetto al grande sentimento che prova. Il personaggio del romanzo, il neo papà, quando comprende che quel bambino è troppo importante per lui, ha chiara la percezione che tutto il resto possa passare in secondo piano».
Perché la scelta di rappresentare una famiglia non tradizionale, in cui comunque si respira un’aria di diffusa positività?
«Si tratta di una famiglia tutto sommato scombinata, in cui i due neo genitori non si sposano e non intendono farlo, ma giustamente. Nella mia carriera ne ho conosciute tante di famiglie in cui padre e madre sono stati in qualche modo costretti a sposarsi per una gravidanza fuori programma, e da ciò sono derivate delle vite spezzate, dei progetti di studi interrotti, spesso di reciproci risentimenti, attribuendo l’ uno all’ altro delle colpe. Nella storia del libro è tutto lineare, la coppia decide di tenere il bambino, ma questo non significa che tra loro debba necessariamente scoccare l’amore».
Quindi perché non prendere in considerazione che la coppia si occupi dei figli vivendo separata sin dall’inizio?
«Quando i genitori si separano spiegano ai bambini: “Mamma e papà si lasciano, però l’amore per voi rimane immutato”. Se ciò si applicasse prima, non ci sarebbe bisogno di mettersi insieme per volersi bene. Sarebbe meglio dire: “Noi vi vogliamo bene comunque, avete una mamma e un papà anche se non vivono sotto lo stesso tetto”, una formula che ricorda un po’ l’idea di “società liquida” di Bauman».
«Le rose che non colsi», «Noi due sconosciuti», ora «Chi ama non sa»: perché un approccio dal punto di vista della negazione?
«Non si tratta di una scelta volontaria, però ora che mi viene fatta notare ritengo sia importante non prendere le cose per definitive, lasciare sempre il tempo a sentimenti ed emozioni di sedimentare e crescere, per poterli di volta in volta verificare. È necessario non c hi udersi i n posi z i oni preconcette e stabilite una volta per tutte perché i nostri sentimenti sono materiale “che si muove”».
Due rapporti forti che spiccano sugli al trinella narrazione: padre-figlio, figliobambino. Un libro che esplorala paternità?
«Il problema è che nel momento in cui il giovane uomo del romanzo, forse un po’ immaturo, si rende conto di diventare padre comprende anche di non essere stato veramente figlio, perché i suoi si erano separati molti anni prima. Del rapporto con il padre, in fondo, ha sempre avvertito la mancanza, e allora sente il bisogno di andare a cercarlo per verificarsi come figlio, e per avere una specie di patente a diventare padre a sua volta. Naturalmente poi, in questo dialogo con il padre che è stato “in latenza” — perché non è che i due non si pensassero, non si amassero — si inserisce la nascita del bambino come elemento che riesce a “sciogliere” le latenze. La nascita agisce come un lievito che fa crescere tutto e tutti».
L’autrice Il personaggio chiave è il neo papà che scopre l’importanza del figlio e muta la sua percezione