«Era l’anno 1917», storia del Trentino attraverso le vicende dei Knottner
Ciò che colpisce subito nell’albero genealogico con cui si apre Era l’anno 1917 (Edizioni Del Faro, 2016) è il fatto che tutte le persone ivi riportate sono morte. Tutte, tranne l’autrice del libro: Adelina Conotter Menestrina, nata nel 1917 a Vela di Trento, nell’allora (ancora per poco) Impero asburgico. Di quei nomi, di quelle vite e della propria, Adelina ha voluto raccontare la storia incoraggiata e aiutata dal figlio Fabio: «Ho ricordato persone non più in vita e che mi sono rimaste dentro. Ho recuperato le origini della mia famiglia attraverso le tappe fondamentali». Questa epopea familiare trentina comincia da un ideale capostipite, il nonno di Adelina, Giovanni Antonio Knottner (1839-1902), un trovatello originario di Bressanone nato all’Istituto delle partorienti e degli esposti, che aveva sede nei pressi del Santuario delle Laste. Con il cognome italianizzato in Conotter, Giovanni divenne proprietario di un maso alla Scala di Vela e lì morì accidentalmente, cadendo da una pianta di gelso. Una tragedia per la famiglia Conotter, purtroppo non l’ultima. Se la Grande Guerra venne evitata con un trasferimento temporaneo in val di Non, la Seconda guerra mondiale si portò via due dei sei fratelli di Adelina, Vittorio e Luigi — il primo morto di pleurite, il secondo combattendo in Albania — a cui sono dedicati i due capitoli più sofferti del libro: «Quando la guerra si porta via due figli, due fratelli, per di più a breve distanza l’uno dall’altro, tutto il resto è visto in modo ridimensionato». Ma i ricordi degli anni ’20-’40 non sono fonti di sola tristezza per Adelina, che parla con affetto della semplice quotidianità di allora, della prima comunione, di Santa Lucia (nel 1917 il dono al fratellino Vittorio fu lei stessa), della scuola, dei pellegrinaggi alla Madonna di Pinè; di quando le gite fuori porta si facevano sul Bondone — «con l’abbigliamento e le calzature normalmente indossati nella vita di tutti i giorni, cosa inconcepibile ai tempi odierni» — e quelle più lontane permesse erano a Venezia e a Milano, «ovviamente senza acquistare nulla». Nonostante nessuno della sua famiglia avesse mai avuto la tessera del partito, il fascismo non incise mai in alcun modo sulla vita di Adelina, che negli anni conclusivi del Ventennio si sposò e andò a vivere in piazza Pasi — dove il marito Tullio gestiva un bar — trasferendosi in seguito e trascorrendo serenamente come moglie, madre e nonna gli anni dal dopoguerra a oggi, in una Trento di cui ravvisò sempre i continui mutamenti. Sparse nel testo troviamo notizie, osservazioni e commenti sulla storia, la società, il costume e l’economia locali, suffragate in appendice da riproduzioni di documenti d’archivio e foto d’epoca, assieme a un glossario di espressioni desuete o dialettali, come scaldalet, cromeri, giro al sass, tocaman, dirndl. Finito il libro viene il desiderio di correre dalla mamma, dalla nonna, dai parenti e farli raccontare a lungo «de sti ani», e di farlo in fretta, prima che sia troppo tardi e il desiderio diventi rimpianto: «Mi dispiace di aver compreso tardi l’importanza di conoscere la storia della mia famiglia, di non aver interpellato a suo tempo mio padre, di non avergli rivolto domande sulla sua vita [...]. Sicuramente ora avrei da raccontare qualcosa in più».