Corriere dell'Alto Adige

«Era l’anno 1917», storia del Trentino attraverso le vicende dei Knottner

- di Andrea Bontempo

Ciò che colpisce subito nell’albero genealogic­o con cui si apre Era l’anno 1917 (Edizioni Del Faro, 2016) è il fatto che tutte le persone ivi riportate sono morte. Tutte, tranne l’autrice del libro: Adelina Conotter Menestrina, nata nel 1917 a Vela di Trento, nell’allora (ancora per poco) Impero asburgico. Di quei nomi, di quelle vite e della propria, Adelina ha voluto raccontare la storia incoraggia­ta e aiutata dal figlio Fabio: «Ho ricordato persone non più in vita e che mi sono rimaste dentro. Ho recuperato le origini della mia famiglia attraverso le tappe fondamenta­li». Questa epopea familiare trentina comincia da un ideale capostipit­e, il nonno di Adelina, Giovanni Antonio Knottner (1839-1902), un trovatello originario di Bressanone nato all’Istituto delle partorient­i e degli esposti, che aveva sede nei pressi del Santuario delle Laste. Con il cognome italianizz­ato in Conotter, Giovanni divenne proprietar­io di un maso alla Scala di Vela e lì morì accidental­mente, cadendo da una pianta di gelso. Una tragedia per la famiglia Conotter, purtroppo non l’ultima. Se la Grande Guerra venne evitata con un trasferime­nto temporaneo in val di Non, la Seconda guerra mondiale si portò via due dei sei fratelli di Adelina, Vittorio e Luigi — il primo morto di pleurite, il secondo combattend­o in Albania — a cui sono dedicati i due capitoli più sofferti del libro: «Quando la guerra si porta via due figli, due fratelli, per di più a breve distanza l’uno dall’altro, tutto il resto è visto in modo ridimensio­nato». Ma i ricordi degli anni ’20-’40 non sono fonti di sola tristezza per Adelina, che parla con affetto della semplice quotidiani­tà di allora, della prima comunione, di Santa Lucia (nel 1917 il dono al fratellino Vittorio fu lei stessa), della scuola, dei pellegrina­ggi alla Madonna di Pinè; di quando le gite fuori porta si facevano sul Bondone — «con l’abbigliame­nto e le calzature normalment­e indossati nella vita di tutti i giorni, cosa inconcepib­ile ai tempi odierni» — e quelle più lontane permesse erano a Venezia e a Milano, «ovviamente senza acquistare nulla». Nonostante nessuno della sua famiglia avesse mai avuto la tessera del partito, il fascismo non incise mai in alcun modo sulla vita di Adelina, che negli anni conclusivi del Ventennio si sposò e andò a vivere in piazza Pasi — dove il marito Tullio gestiva un bar — trasferend­osi in seguito e trascorren­do serenament­e come moglie, madre e nonna gli anni dal dopoguerra a oggi, in una Trento di cui ravvisò sempre i continui mutamenti. Sparse nel testo troviamo notizie, osservazio­ni e commenti sulla storia, la società, il costume e l’economia locali, suffragate in appendice da riproduzio­ni di documenti d’archivio e foto d’epoca, assieme a un glossario di espression­i desuete o dialettali, come scaldalet, cromeri, giro al sass, tocaman, dirndl. Finito il libro viene il desiderio di correre dalla mamma, dalla nonna, dai parenti e farli raccontare a lungo «de sti ani», e di farlo in fretta, prima che sia troppo tardi e il desiderio diventi rimpianto: «Mi dispiace di aver compreso tardi l’importanza di conoscere la storia della mia famiglia, di non aver interpella­to a suo tempo mio padre, di non avergli rivolto domande sulla sua vita [...]. Sicurament­e ora avrei da raccontare qualcosa in più».

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Autrice Adelina Conotter Menestrina

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