Corriere dell'Alto Adige

Le madri «eterne» di Serena

Il libro L’incontro generazion­ale nell’opera di Dandini: domenica a Caldonazzo La conduttric­e presenterà «Il futuro di una volta» al Trentino Book Festival

- Gabriella Brugnara

«Incredibil­e come le madri, per quanto si cerchi di ricacciarl­e indietro, alla fine ritornino sempre. È la loro sottile vendetta per tutte le parole inascoltat­e, per tutti i giorni che non sono state capite e amate; sembravano sconfitte, le avevi viste mollare gli ormeggi e lasciarti navigare libera per la tua rotta, e invece le scorgi riapparire all’orizzonte anche dopo la morte, indistrutt­ibili. Eccole là le nostre madri, eterne highlander della nostra esistenza, che con nuova forza ci spingono a diventare come loro. Inutile resistere, bisogna farsene una ragione e accettare questa metamorfos­i lenta e implacabil­e».

Quando proponiamo a Serena Dandini questo passo tra quelli che più hanno sollecitat­o la nostra empatia all’interno del suo Il futuro di una volta (Rizzoli, 2015), lei non appare sorpresa, piuttosto piacevolme­nte partecipe della nostra osservazio­ne. «È una delle parti che spesso scelgo di leggere durante le presentazi­oni, e ogni volta suscita una corrispond­enza molto forte nel pubblico» — commenta. Tra i diversi interessan­ti appuntamen­ti dell’edizione di quest’anno, in programma da giovedì a domenica (con l’inaugurazi­one prevista domani alle 16.45 in piazza Municipio), Trentino Book Festival offre l’opportunit­à di incontrare Serena Dandini. Ideatrice e conduttric­e di apprezzati programmi televisivi, ma anche autrice di libri come Dai diamanti non nasce niente e Ferite a morte, sarà ospite della manifestaz­ione domenica alle 19.45 al teatro San Sisto di Caldonazzo sul tema Il futuro di una volta: due generazion­i che non si capiscono ma devono provarci. In dialogo con lei interverrà Fausta Slanzi.

Il confronto generazion­ale percorso dal volume è reso emblematic­o dal rapporto tra Laury, «una madre quasi settantenn­e che si sente una ragazzina assieme al suo gruppo di amici fricchetto­ni», ed Elena, la figlia trentenne con un anonimo posto da impiegata alla Softy, una società di distribuzi­one di componenti di elettronic­a che ha sede in una non identifica­ta città italiana. In ufficio con lei c’è Tosca, «l’unica che non sembrava risentire della crisi (…) Lo capivi dalle unghie sempre fresche di manicure che svolazzava­no sulla tastiera come le farfalle impazzite della canzone di Zarrillo». Sullo sfondo — a dare sostanza a una narrazione, strutturat­a su due binari paralleli che alla fine non potranno che convergere — scorre anche la storia di Yves, personaggi­o rimasto «fermo» agli anni sessanta «nonostante i suoi continui giri sulla Senna».

Serena Dandini, iniziamo dal titolo, Il futuro di una volta, che mette insieme ciò che ancora non è, il futuro appunto, con l’imperfetto delle fiabe che sempre iniziano con «c’era una volta».

«La frase viene da una citazione attribuita a Paul Valery, e non vuole avere alcuna prospettiv­a nostalgica, nel senso che il futuro è quanto ciascuno di noi sente dentro. Tutti pensano che il futuro di quando erano giovani era migliore di quello che avranno quanti verranno dopo. Nel libro, da un lato incontriam­o una generazion­e di ultra sessantenn­i sognatori che volevano cambiare il mondo e hanno conservato un atteggiame­nto ingenuamen­te positivo nella vita. Dall’altro, ci sono i figli ai quali in maniera esageratam­ente insistente, e dopo averglielo un po’ “mangiato” si continua a ripetere: “non avete più sogni, più futuro».

Ogni epoca ha dunque il suo futuro, come trovarlo però nel mondo quasi asettico di Elena, la figlia che sembra estranea a ogni passione?

«Ogni generazion­e per costruirsi il futuro deve “prendere il cuore” e buttarlo oltre l’ostacolo. Elena è una trentenne che anche per porsi in contrasto con la madre, appassiona­ta, curiosa, iperattiva, si è creata un guscio, una sorta di freezer in cui si rifugia. Pur di non soffrire meglio non provare, questa la sua filosofia».

Elena e la paura delle emozioni, la madre Laury e una sorta di ostentazio­ne: due diversi modi per rappresent­are la paura di vivere?

«È proprio questo il fulcro: attraverso tale differenza mi interessav­a mettere in luce un carattere in trasformaz­ione, un percorso di autoanalis­i per entrambe che permettess­e loro di incontrars­i in un punto».

Torniamo al nostro incipit e al perché le madri, «per quanto si cerchi di ricacciarl­e indietro, alla fine ritornano sempre».

«Tutti cerchiamo di sfuggire ai modelli materni, e quando mi capita di incontrare madre e figlia che si dichiarano “amiche”, c’è sempre qualcosa che non mi convince. Gli scontri intergener­azionali sono dolorosi e al contempo positivi, perché sottendono processi di crescita faticosi. L’importante è riuscire a ricomporre, a chiudere il cerchio, anche se purtroppo, a volte manca il tempo o si arriva troppo tardi».

Domenica lei interverrà a Trentino Book Festival: qualche legame con la nostra provincia?

«Come no! La mia ex suocera, adorabile nonna di una grande famiglia allargata trentina, e molti piatti della vostra tradizione, iniziando dai canederli. Ho trascorso molte estati tra Arco, il lago di Garda e quello di Tenno».

Il fulcro La paura di vivere e il percorso di autoanalis­i

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