Le madri «eterne» di Serena
Il libro L’incontro generazionale nell’opera di Dandini: domenica a Caldonazzo La conduttrice presenterà «Il futuro di una volta» al Trentino Book Festival
«Incredibile come le madri, per quanto si cerchi di ricacciarle indietro, alla fine ritornino sempre. È la loro sottile vendetta per tutte le parole inascoltate, per tutti i giorni che non sono state capite e amate; sembravano sconfitte, le avevi viste mollare gli ormeggi e lasciarti navigare libera per la tua rotta, e invece le scorgi riapparire all’orizzonte anche dopo la morte, indistruttibili. Eccole là le nostre madri, eterne highlander della nostra esistenza, che con nuova forza ci spingono a diventare come loro. Inutile resistere, bisogna farsene una ragione e accettare questa metamorfosi lenta e implacabile».
Quando proponiamo a Serena Dandini questo passo tra quelli che più hanno sollecitato la nostra empatia all’interno del suo Il futuro di una volta (Rizzoli, 2015), lei non appare sorpresa, piuttosto piacevolmente partecipe della nostra osservazione. «È una delle parti che spesso scelgo di leggere durante le presentazioni, e ogni volta suscita una corrispondenza molto forte nel pubblico» — commenta. Tra i diversi interessanti appuntamenti dell’edizione di quest’anno, in programma da giovedì a domenica (con l’inaugurazione prevista domani alle 16.45 in piazza Municipio), Trentino Book Festival offre l’opportunità di incontrare Serena Dandini. Ideatrice e conduttrice di apprezzati programmi televisivi, ma anche autrice di libri come Dai diamanti non nasce niente e Ferite a morte, sarà ospite della manifestazione domenica alle 19.45 al teatro San Sisto di Caldonazzo sul tema Il futuro di una volta: due generazioni che non si capiscono ma devono provarci. In dialogo con lei interverrà Fausta Slanzi.
Il confronto generazionale percorso dal volume è reso emblematico dal rapporto tra Laury, «una madre quasi settantenne che si sente una ragazzina assieme al suo gruppo di amici fricchettoni», ed Elena, la figlia trentenne con un anonimo posto da impiegata alla Softy, una società di distribuzione di componenti di elettronica che ha sede in una non identificata città italiana. In ufficio con lei c’è Tosca, «l’unica che non sembrava risentire della crisi (…) Lo capivi dalle unghie sempre fresche di manicure che svolazzavano sulla tastiera come le farfalle impazzite della canzone di Zarrillo». Sullo sfondo — a dare sostanza a una narrazione, strutturata su due binari paralleli che alla fine non potranno che convergere — scorre anche la storia di Yves, personaggio rimasto «fermo» agli anni sessanta «nonostante i suoi continui giri sulla Senna».
Serena Dandini, iniziamo dal titolo, Il futuro di una volta, che mette insieme ciò che ancora non è, il futuro appunto, con l’imperfetto delle fiabe che sempre iniziano con «c’era una volta».
«La frase viene da una citazione attribuita a Paul Valery, e non vuole avere alcuna prospettiva nostalgica, nel senso che il futuro è quanto ciascuno di noi sente dentro. Tutti pensano che il futuro di quando erano giovani era migliore di quello che avranno quanti verranno dopo. Nel libro, da un lato incontriamo una generazione di ultra sessantenni sognatori che volevano cambiare il mondo e hanno conservato un atteggiamento ingenuamente positivo nella vita. Dall’altro, ci sono i figli ai quali in maniera esageratamente insistente, e dopo averglielo un po’ “mangiato” si continua a ripetere: “non avete più sogni, più futuro».
Ogni epoca ha dunque il suo futuro, come trovarlo però nel mondo quasi asettico di Elena, la figlia che sembra estranea a ogni passione?
«Ogni generazione per costruirsi il futuro deve “prendere il cuore” e buttarlo oltre l’ostacolo. Elena è una trentenne che anche per porsi in contrasto con la madre, appassionata, curiosa, iperattiva, si è creata un guscio, una sorta di freezer in cui si rifugia. Pur di non soffrire meglio non provare, questa la sua filosofia».
Elena e la paura delle emozioni, la madre Laury e una sorta di ostentazione: due diversi modi per rappresentare la paura di vivere?
«È proprio questo il fulcro: attraverso tale differenza mi interessava mettere in luce un carattere in trasformazione, un percorso di autoanalisi per entrambe che permettesse loro di incontrarsi in un punto».
Torniamo al nostro incipit e al perché le madri, «per quanto si cerchi di ricacciarle indietro, alla fine ritornano sempre».
«Tutti cerchiamo di sfuggire ai modelli materni, e quando mi capita di incontrare madre e figlia che si dichiarano “amiche”, c’è sempre qualcosa che non mi convince. Gli scontri intergenerazionali sono dolorosi e al contempo positivi, perché sottendono processi di crescita faticosi. L’importante è riuscire a ricomporre, a chiudere il cerchio, anche se purtroppo, a volte manca il tempo o si arriva troppo tardi».
Domenica lei interverrà a Trentino Book Festival: qualche legame con la nostra provincia?
«Come no! La mia ex suocera, adorabile nonna di una grande famiglia allargata trentina, e molti piatti della vostra tradizione, iniziando dai canederli. Ho trascorso molte estati tra Arco, il lago di Garda e quello di Tenno».
Il fulcro La paura di vivere e il percorso di autoanalisi