Südtirol Jazz Festival, venerdì la Kinzelbinder’s orchestra. Il sassofonista: «Esperienza nuova»
«La musica è istinto e stratificazione»
Un auditorium ricavato tra i cassoni di mele della cooperativa Fruchthof Überetsch di Frangarto: questa venerdì prossimo sarà la location d’apertura delle dieci giornate del Südtirol Jazz Festival che vedrà esibirsi, a seguito di un aperitivo musicale, la Kinzelbinder’s «melting orchestra».
Quella di questa orchestra è una storia da scoprire: formata da tredici musicisti di provenienza soprattutto italiana e austriaca, deve il suo nome alla fusione tra Lukas Kranzelbinder, bassista austriaco, e Dan Kinzelman, sassofonista americano residente in Italia. È proprio quest’ultimo a presentarcela.
Dan Kinzelman, quando e come nasce la Kinzelbinder’s orchestra?
«Il progetto è stato commissionato dal Südtirol Jazz Festival per creare un incontro tra il jazz contemporaneo e la musica popolare, coinvolgendo musicisti con background molto diversi e, in questo modo, riflettendo la variegata proposta della kermesse».
La Kinzelbinder’s viene definita una «melting orchestra»: perché?
«Anzitutto il repertorio molto vario già si presenta come un melting pot di tradizioni diverse. L’idea è quella di modificare l’organico dell’ensemble per mostrare differenti sfumature del nostro background musicale, passando gradualmente dalla musica popolare a sonorità più moderne, tentando comunque di mantenere un flusso musicale che sia in grado di collegare il tutto».
Quali sono i vostri riferimenti dal punto di vista musicale?
«Credo che con il tempo si accumulino così tanti ascolti e performance da far sì che diventi difficile indicare delle dirette connessioni tra ciò che facciamo e ciò da cui siamo influenzati, non necessariamente poiché ciò che facciamo è incredibilmente nuovo, ma, come nel mio caso, le mie abitudini di ascolto tendono ad essere stilisticamente distanti da ciò che suono».
Definireste questo progetto sperimentale?
«Lo “sperimentale” è solo negli occhi di chi guarda. Nonostante questo lo definirei tale nel senso che stiamo tutti cercando di far qualcosa che mai abbiamo fatto prima. Per esempio io mi esibirò con musicisti che non ho mai incontrato e con il compito di mescolare stili diversi, senza avere il pieno controllo del risultato».
L’edizione 2016 del Südtirol Jazz Festival è intitolata «Nuove sonorità, guardando al futuro»: qual è il vostro modo di guardare al futuro?
«Direi che i musicisti più interessanti che conosco continuano a guardare al futuro nei loro ascolti e attraverso lo stu- dio di una grande varietà di musica di qualunque provenienza. Questo ha molto a che fare con la globalizzazione. Quale argomento potrebbe essere più contemporaneo? Io lavoro su concetti che hanno a che fare con il modo di vedere la modernità, ma credo che il fattore più importante sia il mantenimento della curiosità e la ricerca di connessioni tra i vari campi dell’arte. Il mio recente lavoro con il coreografo Daniele Ninarello mi ha segnato da questo punto di vista».
Quale sarà il futuro del jazz? Quali sono le strade per l’evoluzione di questo genere?
«Non mi interessa molto il futuro del jazz come stile o genere estetico. Mi interessa la musica e voglio lavorare su essa con il mio istinto e gusto: questo non significa che con il jazz stia giocando. Credo che se chi si occupa di jazz continuerà a farlo in maniera vitale e curiosa, il jazz si prenderà cura di se stesso. Se non riusciremo a mantenerlo vitale, sarà meglio svanisca poco a poco».