Lmanacco Settanta
Civica, dal 10 febbraio il progetto sulla Trento di quarant’anni fa Una ricerca che indaga le connessioni tra architettura e arte astratta
La curatrice De Pilati: «Per la mostra abbiamo voluto coinvolgere anche Campomarzio»
quali gli edifici di cui ci occupiamo appartengono da sempre al panorama quotidiano. Non avendo assistito alla “crescita” di queste strutture, conservano una visione più “pura”, senza il condizionamento di eventi cui hanno partecipato in prima persona». Il riferimento della curatrice va, in particolare, alle sentinelle bianche che annunciano la skyline di Trento venendo da sud, le torri di Madonna Bianca progettate da Marcello Armani agli inizi degli anni Settanta.
«Mi piaceva far vedere come queste architetture, al tempo così criticate, costituiscano ora un tratto distintivo per la città. Ad esse abbiamo affiancato una trentina di opere che presentano delle attinenze formali, un richiamo quasi estetico con gli edifici in mostra, e al contempo sottolineano come anche il nostro territorio si inserisse in una tendenza di carattere generale, italiana e non solo».
L’allestimento, curato da Campomarzio, prevede delle strutture in alluminio che creano dei volumi nello spazio, e che accolgono la parte architettonica della mostra, dai disegni originali alle foto di Guerra. Le pareti saranno invece utilizzate solo per la parte inerente alla pittura, dando così anche l’idea di una separazione fisica tra questi due mondi. Si partirà da una struttura con il progetto di Madonna Bianca, mentre «la conclusione — si inserisce Pietro Ambrosini di Campomarzio — dal molto grande delle torri condurrà al molto piccolo di alcune ville urbane: villa Valduga di Perini, casa Monauni di Salvotti, villa Groff di Armani, in un percorso dal quartiere al domestico. Il fatto è che in quegli anni — approfondisce — si avverte una necessità di modernizzazione del Trentino rurale incredibile crisi economico-culturale che accomuna i due periodi.
«Forse parlare degli anni ’70 è anche un po’ parlare di noi stessi — osserva Ambrosini —. Allora era in atto una forte tendenza a utilizzare l’edificio come un laboratorio e di fatto oggi potrebbe, e forse dovrebbe, esserci ancora questa ansia perché determinate cose date per scontate, non lo sono più. Come negli anni Settanta, in cui il boom economico si ferma e bisogna ripensare al proprio essere nel tempo». In chiusura, Lorenzoni sottolinea come gli anni Settanta si caratterizzino anche per «un clima, un sostrato unico, vissuto e respirato nello stesso modo da architetti e artisti. La mostra, in questo senso, rappresenta una specie di macchina del tempo che ci riporta in quegli anni, anche grazie alle testimonianze dei tre architetti e di sei degli undici artisti ancora viventi» — conclude.