Merano Arte. Chi è ancora austriaco?
Dietro alla domanda programmatica (e un po’ straniante) Chi è ancora austriaco?, Merano Arte affronta e propone la più intensa iniziativa-ricognizione storica su Merano. Città al centro in questi mesi di memoir e festeggiamenti attraenti sui suoi 700 anni ma anche appesantita da banalità di altri avvenimenti commemorativi. Questo conferisce una doppia attrattiva all’originale e coraggiosa collettiva della galleria meranese (da sabato fino al 9 luglio nello spazio lungo i Portici), con cui il curatore Luigi Fassi (un passato newyorkese e bolzanino, ora attivissimo a Graz) ha chiesto a cinque artisti di declinare il proprio rapporto con Merano nel corso di altrettanti periodi di residenza e poi di viaggi, escursioni e tentativi di sintonizzarsi con la città, con i suoi luoghi e i suoi abitanti. Luigi Fassi presenta le opere di cinque artisti — Nicolò Degiorgis, François-Xavier Gbrè, Runo Lagomarsino, Sonia Leimer, Renato Leotta — che s’interrogano sulle mutazioni storiche e sociali che hanno interessato la città altoatesina. Il titolo dell’esposizione s’ispira a quello dell’articolo — Bin ich ein Österreicher? — apparso il 20 agosto 1916 sulle pagine del giornale di guerra Tiroler Soldaten Zeitung. L’autore è lo scrittore Robert Musil, allora sottotenente dell’esercito austriaco.
«La mostra ha elaborato un punto di partenza che è l’articolo di Musil e dal quale di«La scende che allora nessuno si definiva austriaco. Insomma, ognuno dava una risposta differente e magari opposta», spiega Fassi. Che aggiunge: stessa domanda, attualizzata, Chi è ancora austrico? è ovviamente sull’identità. Ma è anche mostrare aspetti di Merano che gli stessi meranesi vogliono dimenticata o non conoscono. Come i rapporti di Merano con la cultura mediterranea, con la storia italiana, addirittura con la storia coloniale in Africa. Nel suo racconto fotografico l’artista africano che ho invitato ha inserito i riferimenti alle tombe di due aviatori (uno era Otto Huber) che militavano nell’esercito italiano che bombardò l’Eritrea». Insomma, una mostra di gruppo ma con una tipologia particolare. Fassi concorda? «Sì, certo. I cinque artisti hanno soggiornato a Merano, ospiti di Kunst Meran, una settimana ciascuno. E ognuno di loro ha consultato archivi come si è concesso lunghe passeggiate in città e nei dintorni. Ne è nata una mostra che, per caratteristiche, uso di video e materiali, non sarà riproponibile altrove così come la vedrà a Merano».
Ma ecco chi sono i cinque artisti e cosa esporranno. Bruno Lagomarsino (Malmö 1977) si è confrontato l’Heisen Michl scultura raffigurante un guerriero (oggi al Palais Mamming) realizzata dall’arista Blasius Mayr nel 1915 utilizzata allora come testimonial a favore di una raccolta fondi a favore di orfani e vedove del conflitto 1915/1918. Lagomarsino recupera con un ossimoro l’Heisen Michl e lo colloca all’interno del museo divenendo nuovamente un testimone della realtà meranese fatta di migranti provenienti da aree di conflitto. Nel video Brenner merry go round ironizza sul tema del nazionalismo attraverso la musica. Come fuori programma interviene sul tema della sparizione e del declino di Mare Nostrum con 80 diapositive.
Renato Leotta, torinese classe 1982, esplora il territorio meranese attraverso una telecamera restituendo rimandi e evocazioni che svelano divinità ctonie e paesaggi montani. Mentre Nicolo De Giorgis, nato nel 1985 a Bolzano, presenta una serie di diapositive di volti appartenenti ai meranesi di diverse appartenenze religiose ritrovati nei vari cimiteri della città. Con la sua visione De Giorgis fa riaffiorare il concetto di multicultura già presente nei secoli passati. Francis Xavier Gbrè nato a Lille nel 1978, vive e lavora ad Abidjan in Costa D’ Avorio e offre a Kunst Meran un’intensa ricerca fotografica scavando tra storia odierna e passato trovando coinvolgimenti e responsabilità tra militari meranesi e le campagne coloniali in Africa durante il periodo fascista. Infine, la meranese Sonia Leimer attraverso un video mostra come uno dei prodotti tipici simbolo di Merano, dell’intero Suedtirol, la mela, sia stato anch’esso vittima della globalizzazione: in sala Leimer colloca emblematicamente un tradizionale misuratore di mele.