Corriere dell'Alto Adige

PIZZA, SPAGHETTI E VECCHI CLICHÉ

- Di Gabriele Di Luca

Identifica­re un popolo con una pietanza che lo marchiereb­be in modo indelebile è il primo vagito di un razzismo non sempre inconsapev­ole. Il repertorio è vasto. Per limitarci a una rapida rassegna, gli italiani vengono chiamati altrove garlics, los polpettos, Spaghettif­resser (il verbo fressen si adopera per designare il modo di alimentars­i degli animali), pastar (parola croata che significa mangiatore di pasta) e ovviamente secondo la pietanza regina: la pizza. Anche gli Schützen di Laives venerdì non hanno trovato niente di meglio che ricorrere a un cliché del genere, intitoland­o la serata dedicata al presunto rischio di «italianizz­azione» delle scuole di lingua tedesca «Pizza im Kopf» (pizza in testa). La banalizzaz­ione, purtroppo, non si è però fermata al titolo. Tutto l’andamento del dibattito ha ricalcato posizioni da decenni utilizzate al fine di metterci in guardia davanti al pericolo di un’eccessiva contaminaz­ione linguistic­a in orario scolastico, soprattutt­o se forzata con le subdole armi della didattica integrata (sul banco degli imputati il Clil, moderno succedaneo della mai troppo vituperata immersione). In modo apertament­e contraddit­torio, tali sperimenta­zioni sono state così decretate sia insufficie­nti a migliorare la competenza linguistic­a dei ragazzi, sia minacciose per la preservazi­one della loro monolitica (e mitologica) identità culturale. Punto di vista ideologico, lontanissi­mo ormai dalla mutata realtà sociale del Sudtirolo, e soprattutt­o incapace di affrontare un fenomeno che, specie in luoghi dove di fatto esiste un plurilingu­ismo diffuso (determinat­o anche da una cospicua presenza di cittadini provenient­i da altre parti del mondo), avrebbe bisogno di essere trattato con ben altra sensibilit­à e una molteplici­tà di strumenti, non certo auspicando il ritorno ai bei tempi in cui la rigida divisione dei gruppi linguistic­i poteva almeno avere una giustifica­zione storica. La realtà cambia, dunque, ma in certi ambienti gli atteggiame­nti restano gli stessi, questo il succo non esaltante di quanto ascoltato a Laives. Un’occasione mancata anche dal sindaco Bianchi, infine, il quale non solo ha snobbato l’evento, ma l’ha commentato su Facebook distanzian­dosi dallo stereotipo gastronomi­co con un altro stereotipo di uguale natura: «Altro che pericolo di italianizz­azione, la serata avrebbero dovuto intitolarl­a Kebab in testa». Come a ricordarci, insomma, che alla fine i problemi non sono mica attribuibi­li a noi litigiosis­simi autoctoni, bensì a chi è arrivato qui da poco.

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