LA MORTE DEL DICIASSETTENNE CI SPRONI AD AIUTARE I PIÙ DEBOLI
La notizia della morte del ragazzo bolzanino di diciassette anni per presunta overdose da eroina mi ha sconcertato, stupito e interrogato. Da quanto si apprende, sembra di capire che l’adolescente vivesse un forte disagio interiore che lo ha portato non solo a allontanarsi dalla famiglia, ma anche a rifiutare ogni sorta di aiuto o di sostegno esterno. Come può la società e, in particolare, come possono gli enti pubblici deputati a intervenire in simili situazioni a raggiungere le persone che evitano apertamente di chiedere aiuto? Mi chiedo quale approccio abbia senso, oppure se non ci si debba spingere ancora di più alla radice del problema, per prevenire un tipo di comportamento che rappresenta senza dubbio il sintomo di un grave disagio. L’idea invalsa è che intervenendo su integrazione, istruzione e inclusione si possa evitare o almeno limitare un certo tipo di comportamenti devianti nei ragazzi. Di sicuro, come ha affermato la sovrintendente scolastica Nicoletta Minnei, la tragedia che ha visto perdere la vita il diciassettenne è una sconfitta per tutti.
Caro Luciani,
Non c’è dubbio che la morte del giovane bolzanino rappresenti una sconfitta per tutti. Entrare nei meandri della mente e delle sensibilità delle persone non è mai facile, soprattutto se esse vivono — oppure hanno vissuto — delle esperienze negative per uscire dalle quali bisogna vedere almeno uno spiraglio di luce. In questi casi credo che la strada migliore sia soprattutto quella della vicinanza affettuosa. Chi è più fragile e soffre più di altri la fatica di vivere ha bisogno di non essere lasciato mai solo e di sentire invece vicine le persone amiche che gli diano fiducia in se stesso.