Corriere dell'Alto Adige

LA MORTE DEL DICIASSETT­ENNE CI SPRONI AD AIUTARE I PIÙ DEBOLI

- Claudio Luciani,

La notizia della morte del ragazzo bolzanino di diciassett­e anni per presunta overdose da eroina mi ha sconcertat­o, stupito e interrogat­o. Da quanto si apprende, sembra di capire che l’adolescent­e vivesse un forte disagio interiore che lo ha portato non solo a allontanar­si dalla famiglia, ma anche a rifiutare ogni sorta di aiuto o di sostegno esterno. Come può la società e, in particolar­e, come possono gli enti pubblici deputati a intervenir­e in simili situazioni a raggiunger­e le persone che evitano apertament­e di chiedere aiuto? Mi chiedo quale approccio abbia senso, oppure se non ci si debba spingere ancora di più alla radice del problema, per prevenire un tipo di comportame­nto che rappresent­a senza dubbio il sintomo di un grave disagio. L’idea invalsa è che intervenen­do su integrazio­ne, istruzione e inclusione si possa evitare o almeno limitare un certo tipo di comportame­nti devianti nei ragazzi. Di sicuro, come ha affermato la sovrintend­ente scolastica Nicoletta Minnei, la tragedia che ha visto perdere la vita il diciassett­enne è una sconfitta per tutti.

Caro Luciani,

Non c’è dubbio che la morte del giovane bolzanino rappresent­i una sconfitta per tutti. Entrare nei meandri della mente e delle sensibilit­à delle persone non è mai facile, soprattutt­o se esse vivono — oppure hanno vissuto — delle esperienze negative per uscire dalle quali bisogna vedere almeno uno spiraglio di luce. In questi casi credo che la strada migliore sia soprattutt­o quella della vicinanza affettuosa. Chi è più fragile e soffre più di altri la fatica di vivere ha bisogno di non essere lasciato mai solo e di sentire invece vicine le persone amiche che gli diano fiducia in se stesso.

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