Corriere dell'Alto Adige

PRIMO MAGGIO SOLIDALE

- Di Alfred Ebner

Ancora oggi servono maggiore solidariet­à e una forte consapevol­ezza nel rivendicar­e i diritti individual­i e quelli collettivi, sia in Italia, sia a livello globale.

Se vogliamo salvare l’idea europea — nata in contrappos­izione alle dittature e ai nazionalis­mi del ventesimo secolo che hanno prodotto due guerre disastrose — vanno affrontati i problemi legati alla giustizia e all’equità sociale. Il cittadino si sente sempre più vittima della globalizza­zione e delle scelte imposte dai «poteri forti» che hanno prodotto diseguagli­anze ormai insostenib­ili. Gli effetti sono evidenti: la sensazione sempre più diffusa di vivere in un sistema economico e politico ingiusto, dove è in atto uno spostament­o della risorse dal basso verso l’alto. Un mondo dove non si discute sull’accumulo delle grandi ricchezze e dove, a causa di un’ideologia liberista, si punta il dito sui più deboli, facendoli passare per parassiti a carico della collettivi­tà. Si fa largo l’idea che troppi aiuti, in caso di perdita del lavoro, disincenti­vino la ricerca di un’occupazion­e. Come anche l’idea che il taglio degli ammortizza­tori sociali possa invogliare le persone a impegnarsi, ignorando volutament­e che, anche facendo così, le opportunit­à non migliorano di certo. La mancanza di risorse, infatti, non permette al singolo, ma neppure ai suoi figli, di finanziars­i un percorso d’istruzione adeguato o una formazione permanente in grado di migliorare la profession­alità, condizione primaria per aumentare lo status sociale.

Per realizzare tali strategie i diritti delle lavoratric­i e dei lavoratori vanno ridotti e il peso del sindacato ridimensio­nato. Il risultato: egoismi, regionalis­mi, razzismi e tentativi di chiudersi nel proprio piccolo mondo, che non riguardano solo gli Stati, ma subentrano anche nella mente di molti cittadini, condiziona­ndone il modo di vivere, la quotidiani­tà, la vita sociale e politica, i rapporti interperso­nali.

La solidariet­à del mondo del lavoro in parte rischia di frantumars­i e, come insegna la storia, sono proprio le lavoratric­i e i lavoratori, assieme alle fasce più deboli, a cadere per primi nel tranello della destra. Così, ormai, ogni elezione in Europa è diventata un rischio per la democrazia. La crescente arroganza delle forze populiste, il loro linguaggio crudo e la disillusio­ne degli elettori verso la politica rappresent­ano una rottura rispetto alle logiche politiche ed economiche degli ultimi decenni. Continuano ad aumentare le persone che disertano le urne oppure vi proiettano tutte le loro frustrazio­ni e preoccupaz­ioni. Un voto, quindi, contro il sistema e le forze che lo governano. La politica è vista come una piovra al servizio dei potenti, incapace a dare risposte. Gli Stati Uniti, la Brexit, il referendum costituzio­nale in Italia e la Turchia ormai lontana dalle logiche di uno Stato democratic­o moderno dovrebbero far riflettere. Invece ci si accontenta del risultato di Van der Bellen in Austria, della mancata vittoria di Wilders in Olanda e del ballottagg­io francese tra Macron e la Le Pen (sic!). Poi si ignora che il 40% ha votato, di fatto, contro l’Europa e le sue élite. Se il nuovo presidente si chiamerà Macron — come auspicabil­e — ciò sarà frutto di un’alleanza trasversal­e, dettata più dalla paura della destra nazionalis­ta, che non da una scelta strategica.

In Italia, invece, si profila un successo del Movimento 5 Stelle, che nel suo programma si scaglia contro le forze politiche e sindacali tradiziona­li, il tutto condito da una forte dose di euroscetti­cismo. Forse sarebbe meglio parlare piuttosto di uno scampato pericolo e rendersi conto che, proseguend­o con le solite strategie, la resa dei conti è solo rinviata.

Intervenir­e ora non è neppure semplice, perché il vero problema che muove il cosiddetto ceto medio è la paura di tante persone di perdere il proprio «benessere». Agire su timori, emozioni e suggestion­i, a volte pure irrazional­i, è tutt’altro che facile. Va superata l’idea di dover puntare solo sul mercato per il rilancio dell’economia, escludendo il mondo del lavoro e chi lo rappresent­a. Questa logica ha prodotto guasti profondi che vanno sanati rapidament­e. Le forze politiche, sindacali e sociali che credono nei valori di un’Europa democratic­a devono convincers­i a fare scelte innovative ed eque, capaci di produrre una maggiore fiducia nei cittadini che rappresent­ano. Solo mettendo in campo un progetto contro la precarietà e a favore dei diritti si possono ridimensio­nare gli spazi dei nazionalis­ti e populisti di destra.

A mio avviso, inoltre, serve una distribuzi­one più equa della ricchezza. Non possiamo tollerare un sistema nel quale gli interessi delle imprese e dei mercati finanziari valgono più del destino delle donne e degli uomini. In tale ottica credo che il Primo maggio sia una data più attuale che mai. L’idea nasceva nel lontano 20 luglio del 1889 a Parigi, quando si pensava a «una grande manifestaz­ione organizzat­a per una data stabilita, in modo che simultanea­mente in tutti i Paesi e in tutte le città, nello stesso giorno, i lavoratori chiederann­o alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore». La scelta cadde sul primo giorno del maggio 1890 e, visto l’insperato successo dell’iniziativa, si ripete ogni anno.

Ancora oggi servono una maggiore solidariet­à e una forte consapevol­ezza nel rivendicar­e i diritti individual­i e quelli collettivi, non solo in Italia, ma anche a livello globale. Ripercorre­ndo gli ultimi decenni si sono rivelate — come del resto sono tuttora — strategie vincenti. Le condizioni di vita dal maggio del 1890 sono cambiate radicalmen­te, ma valori come solidariet­à e consapevol­ezza di fronte alla frammentaz­ione del lavoro sono tornati di grande attualità. Non possiamo fermare il vento della modernità, ma dobbiamo partecipar­e al cambiament­o, condiziona­ndo le scelte a favore del mondo del lavoro. Un buon Primo maggio a tutti.

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